Introduzione
Tutti coloro i quali, fin dal XVII secolo, hanno letto il capolavoro del cardinale Pierre de Bérulle, Le grandezze di Gesù, hanno sottolineato che sono in esso presenti grandi ricchezze teologiche, bibliche e mistiche. L’autore, chiamato “l’apostolo del Verbo incarnato”[1] però non ha scritto un’opera semplice. Lo stile è difficile e pieno di ripetizioni. Vi pure troviamo molta elevazione e considerazioni di tipo scolastico[2].
L’opera che è importante per una migliore conoscenza della spiritualità dell’incarnazione e che costituisce uno dei monumenti della storia spirituale francese dev’essere collocata nel contesto storico dell’epoca in cui ha vissuto il cardinale Bérulle (1). Poi si presenterà lo schema globale dell’opera (2), dopo di che viene l’analisi del libro (3). L’elaborato finirà con alcune riflessioni finali (4). Alla fine sarà presentata la bibliografia.
1. Storia della vita
Pierre de Bérulle (1575-1629), è conosciuto come il fondatore di una scuola di spiritualità, la cosiddetta scuola francese. Discendente di una famiglia di giuristi, durante la vita fu sacerdote (1599), consigliere dei Borboni, poi cardinale (1627), fondatore dell’Oratorio francese e responsabile principale delle carmelitane impiantate in Francia dopo la riforma di Teresa d’Avila. Fu pure l’amico di Francesco di Sales e il padre spirituale di Vincenzo de’Paoli. A causa delle sue opere e della dottrina fu contestato durante la vita e dopo la morte.
Analizzando la storia della sua vita è evidente che durante gli studi letterari era affascinato delle idee della scuola astratta, creata nel circolo di madame Acarie. In quel tempo il nostro personaggio non aveva ancora scoperto il mistero dell’incarnazione. Però tra il 1602 e il 1608 per influsso della Vita di Gesù di Ludolfo Certosino, degli Esercizi spirituali di sant’Ignazio di Loyola, dei Nomi di Cristo di Luís de Leòn e soprattutto del cristocentrismo delle carmelitane spagnole, passa progressivamente dalla mistica astratta ad una prospettiva spirituale cristocentrica, concentrata sul mistero del Verbo incarnato. Il Gesù diventa per lui non solo la via, ma il termine del percorso spirituale. Si deve sottolineare che l’autore è ancora lontano dall’idea degli stati del Verbo incarnato e della loro permanenza[3].
In quel tempo i membri del circolo di madame Acarie (una spontanea comunità carismatico-formativa a Parigi), facevano sforzi per fondare in Francia alcuni conventi di carmelitane riformate di Teresa d’Avila. La Santa Sede e il re francese Luigi XIII, volendo evitare che i carmelitani spagnoli assumessero la direzione di quei conventi, chiameranno a fare questa direzione alcuni sacerdoti francesi: Bérulle, Du Val e Gallemant. I carmelitani scalzi spagnoli non volevano perdere questa direzione. Pure loro fondarono monasteri in Francia e iniziarono la loro battaglia contro il principale responsabile, cioè Pierre de Bérulle.
Dal 1603 la fondazione del carmelo francese determinò molto la spiritualità del Bérulle. Tra lui e una carmelitana, S. Anna di san Bartolomeo, cominciò una corrispondenza. è molto probabile che diversi aspetti cristocentrici della pietà carmelitana presenti in questa corrispondenza abbiano avuto un decisivo influsso. In quel periodo il Bérulle si dedicò anche alla polemica contro i protestanti. Leggendo i testi patristici ha già indicato alcuni suoi temi principali: l’incarnazione, l’eucaristia, il corpo mistico. Una grazia mistica gli confermò che la strada da lui presa era retta e giusta[4].
Contemporaneamente leggeva le opere dello pseudo-Dionigi dal quale ha imparato la metafisica neoplatonica e la visione gerarchica del mondo religioso. Pure in quel periodo nacque il voto di schiavitù a Gesù e Maria. Il dionisismo di Bérulle ha dato a questa nozione di servitù un’estensione e una profondità tutte particolari – l’accento sulla funzione di superiore cui aderiscono naturalmente i suoi sudditi. Il Cognet spiega cosi:
“Bérulle mette in relazione la dipendenza in cui ci pone la schiavitù nei confronti della Vergine con la dipendenza nella quale anche Gesù ha voluto trovarsi nei confronti della Vergine durante i nove mesi ch’egli trascorse nel suo seno. Sarà così portato a introdurre nella sua spiritualità un tema che diventerà familiare presso i suoi successori, quello cioè della vita di Gesù in Maria”[5].
Il primo testo di questo voto il Bérulle lo redasse intorno al 1612. Fece questo dopo la fondazione dell’Oratorio (1611 – una forma di vita comune per i sacerdoti). Quindi per poter adorare Gesù unico sacerdote, e anche per facilitare il cammino della santità dei sacerdoti fu molto utile il voto di schiavitù a Gesù e Maria. I primi oratoriani fecero la loro oblazione a Maria l’8 settembre 1614, invece a Gesù il 28 febbraio 1615. Essendo anche il visitatore delle carmelitane, nel 5 giugno 1615 promulgò un’ordinanza che imponeva a tutte le suore il voto di servitù a Maria, come prima tappa dell’iniziazione[6].
Quindi, dopo il 1615 Pierre de Bérulle come centro della sua pietà stabilì il Verbo incarnato. Libero dalla scuola astratta, rimarrà però nello stesso tempo prigioniero dei nuovi schemi per poter difendere il voto di servitù. Discuteva con la scuola astratta ed in modo speciale con i carmelitani. Da loro fu anche accusato di eresia. Tuttavia questa lotta portò nuovi frutti. Il Bérulle non considerò più il voto di servitù come voto per il mistico. Lo collegò con il sacramento del battesimo e lo propose come cammino spirituale. In quel tempo, nel febbraio 1623, appoggiandosi ai padri della Chiesa e ai grandi teologi scrisse la sua grande opera, Le grandezze di Gesù, in cui voleva chiudere tutte le polemiche circa il voto di servitù[7].
Gli ultimi sette anni furono per lui molto difficili, attraversati da malattie, crisi ed abbandoni interiori. Negli scritti si occupò di analizzare diversi stati del Verbo incarnato o della Vergine. In quel periodo la sua spiritualità vissuta si semplificava e si umanizzava. Tutti i biografi, analizzando la sua vita e il suo percorso spirituale lo chiamano, come fece il papa Urbano VIII, “l’apostolo del verbo incarnato”[8].
2. Schema generale dell’opera
Il cardinale Bérulle intitolò il suo libro “Discorso sullo stato e le grandezze di Gesù, in forza dell’unione ineffabile della divinità con l’umanità, e sulla dipendenza e servitù che gli è dovuta, a lui e alla sua santissima madre, conseguentemente a questo stato mirabile”.
i primi sei discorsi il cardinale li scrisse nel primi mesi del 1622 e poi li mostrò ai numerosi dottori della Sorbona. Il discorso apparve nella metà di febbraio 1623. Subito dopo l’autore ricevette molte attestazioni di stima e di approvazione, addirittura dal vescovo Richelieu, il suo grande contestatore. È così che, fin dalla prima stampa dell’opera, tutti i lettori sono d’accordo sia intorno alle ricchezze che alle difficoltà[9].
Lo scopo centrale dell’opera non fu di difendere solo il voto di servitù (questo in modo speciale lo farà alla fine, nel Narré). Piuttosto Bérulle aveva voluto contemplare il mistero centrale della fede cristiana: l’amore infinito di Dio creatore che s’incarna nella persona di Gesù. Quest’incarnazione dimostra pure tutta l’importanza che ha la consacrazione della propria vita a Gesù con il quale la persona credente è unita fin dal proprio battesimo. Scrivendo il suo libro il Bérulle sfruttò tutte le proprie capacità: l’intelligenza, l’affettività e la volontà per toccare il più grande mistero della fede cattolica. In tal modo voleva rispondere a tutti coloro che lo accusavano di eresia riguardo al voto di servitù. Addirittura, il prendere in considerazione il solo titolo potrebbe già dimostrare tutta la difesa e la sintesi della spiritualità del Bérulle[10].
L’opera è stata scritta nei tempi in cui la lingua francese era in processo di liberarsi dal latino. Il testo è pieno di ripetizioni ed antitesi con opposizioni che producono frasi molto lunghe. Come spiega il Meuret il discorso comprende il linguaggio filosofico e concetti tomistici, a volte vi si trovano passi con citazioni bibliche o patristiche, ordinate secondo il metodo scolastico. Comunque, lo stile usato da Bérulle gli fu di aiuto per scrivere un’opera piuttosto mistica con accenti di affettività[11].
L’opera nella forma classica conta 12 discorsi. Però nell’edizione del 1998 Le grandezze di Gesù è stata concepita in un modo diverso. Il responsabile dell’edizione, René Boureau, così spiega la motivazione: “Abbiamo, perciò, selezionato i testi per mettere in luce quelli che parlano alla nostra cultura e rimangono leggibili per quanto ci riguarda”[12].
La prefazione dell’opera la presenta come il primo di una lunga serie di volumi che Bérulle avrebbe voluto scrivere. Prima di analizzare il testo, che è stato curato dal Boureau, bisogna dimostrare la linea generale. Il pensiero di Bérulle si sviluppa secondo un semplice piano. All’inizio vi si trovano le spiegazioni sull’importanza dell’incarnazione e la lunga preghiera verso Dio e Gesù. Poi il Bérulle spiega l’unità di Dio in questo mistero e la comunicazione di Dio in questo mistero (il ruolo dello Spirito Santo). In modo speciale contempla i segreti della vita divina: l’eterna generazione del Verbo, ed il triplice stato di Gesù: nella Trinità, nell’incarnazione, nell’eucaristia – i principali oggetti della fede cristiana. Dopo di che viene analizzato l’amore di Dio nel mistero di incarnazione. Gli ultimi discorsi sono le meditazioni sulle tre nascite di Gesù: la nascita nel seno del Padre alla vita eterna, la nascita nel seno della Vergine alla vita temporale (il più lungo discorso e il più importante per capire il pensiero berulliano) e la nascita, a partire dalla risurrezione, alla vita eterna di gloria[13].
3. Analisi dell’opera
Prendendo lo schema del Boureau le riflessioni successive saranno divise nei seguenti punti: visione d’insieme, Gesù, il mistero e le tre nascite di Gesù.
3.1. Visione d’insieme
Il cardinale Bérulle contempla Gesù, immagine viva del Padre eterno, ma anche Figlio dell’uomo. In Gesù, uomo e Dio coesistono e per questo si vede “la divinità attraverso l’umanità e la potenza attraverso l’infermità”[14]. Questo Gesù, diventando uomo, morendo sulla croce, stabilendo la sua opera sulla terra, vuole attirare il mondo intero a sé. Dai suoi seguaci esige di seguirlo e dà loro la forza per vincere lo spirito del mondo.
L’autore affascinato dalla grandezza di Gesù, che non è la grandezza secondo i desideri mondani, sin dall’inizio spiega, attraverso un linguaggio teologico con accenni sentimentali, in che cosa consiste questa grandezza.
La grandezza di Gesù può essere considerata in Lui stesso, nel Suo rapporto con Dio, Suo Padre, e nei Suoi rapporti con noi. Egli è grande in se stesso perché è grande nella sua persona, grande nella sostanza divina comunicata alla Sua natura umana. È grande nei rapporti con le Persone divine, perché è Figlio dell’uno (il Padre) e principio dell’altro (lo Spirito Santo). È grande rispetto a noi perché è il nostro capo e noi siamo Suo corpo e membra. Egli è lo Sposo e noi siamo il Suo cuore e le Sue delizie. È il Sacrificatore e noi siamo le Sue ostie viventi, offerte attraverso di Lui alla gloria del Padre[15].
Quindi, l’incarnazione del Verbo incarnato, il Bérulle la vede come il mistero nascosto nel seno del Padre, che nella pienezza dei tempi si rivela e diventa l’oggetto di fede dei fedeli. L’eterno Dio è sulla terra, “abbassato nella sua grandezza, rivestito della nostra mortalità”. In Gesù, l’uomo e Dio s’incontrano nel più intimo dell’essere. Per questo l’incarnazione merita adorazione e proprio in questo mistero la Chiesa dev’essere sempre impegnata[16].
Secondo l’autore, davanti a questo mistero, basterebbero il silenzio e l’adorazione. Però essendo davanti agli attacchi dei contestatori vuole opporre la difesa. Scrive così:
“[...] ho scritto questo discorso per parlare di Gesù del suo stato eccelso e delle sue mirabili grandezze. Un tempo, Gesù è stato pietra d’inciampo tra gli ebrei. Egli ha predetto che lo sarebbe stato anche tra i cristiani. Lo è ancora per coloro che hanno voluto contestare la servitù che gli è resa. Pubblico, dunque, questo discorso per conservare nel suo onore questo disegno di pietà attraverso la via della pietà, e arrestare il corso della violenza con la ragione e la dolcezza”[17].
In seguito l’autore introduce il tema dell’incarnazione di Gesù come l’evento grande e irripetibile. Davanti a questo mistero tutti sono chiamati a lodare Dio e a penetrare i segreti di questo altissimo mistero. I lettori sono invitati a farlo come se vedessero il sole la prima volta nella loro vita: con la meraviglia e l’amore[18].
3.2. Gesù
Il cardinale Bérulle tramite alcune immagini, vuole esprimere il mistero e le sue conseguenze spirituali. Alla persona di Gesù attribuisce l’immagine del sole, cioè il centro del mondo attorno a cui tutto ruota. “E come la luce creata è stata unita al sole per essere un principio di luce in terra e in cielo, così la luce eterna è unita e incorporata nell’umanità di Gesù per creare, in lui e per mezzo di lui, un corpo di luce per tutta l’eternità”[19]. Sono qui evidenti il pensiero cristocentrico e il fascino verso una nuova umanità creata tramite il mistero dell’incarnazione.
L’autore col sopraindicato cristocentrismo unisce la vita reale tramite un voto di servitù a Gesù e poi a Maria. È da ricordare che l’idea di quel voto è stata contestata come un aspetto di una nuova devozione. In realtà, Pierre de Bérulle ce la testimonia così:
“Io mi offro e mi presento a te nello stato e nella qualità, umile e beato, di servo. Faccio un voto costante, deciso, inviolabile, di servitù perenne. Di servitù, dico, a te, alla tua umanità sacra e deificata e alla nostra divinità umanizzata. Infatti la tua umanità è deificata dal Verbo stesso che gli comunica la propria persona. E reciprocamente, la tua divinità è umanizzata, cioè rivestita della nostra umanità come di una sostanza nuova. [...] A onore di questa unione mirabile della tua umanità con la divinità stessa, io voglio unirmi a te per essere in te, per vivere in te e portare frutti in te come il tralcio della vite. Sii il mio tutto, affinché io faccia parte di te nel tuo corpo mistico come la tua umanità che è parte di un divino composto sussistente in due nature così diverse”[20].
Il voto di servitù non è nient’altro che un’adesione al mistero dell’incarnazione. Vale la pena fare un riferimento alla visione di uomo. Il Bérulle considerava l’uomo come un nulla. Però questo “nulla” significa una totale dipendenza da Dio che è tutto. Ciò, nonostante questo pessimismo che appare inizialmente, si rivela come ottimismo: le persone non sono cattive in sé; hanno desiderio di Dio e hanno un bisogno totale di affidarsi a Gesù[21].
Tramite il battesimo i cristiani aderiscono allo stato d’incarnazione. Per spiegare questo, il Bérulle usa l’immagine dell’innesto che è stato inserito in una pianta. L’innesto celeste viene inserito nella pianta selvatica che è l’umanità e per questo la pianta può produrre dei frutti nuovi – è interessante il movimento: dall’alto al basso; dalla divinità all’umanità. Se Gesù, e pure Maria, sono diventati un servo e una serva, anche ogni cristiano dovrebbe diventare servo.
Gesù prende l’aspetto di servo in due modi. Il primo è quando assume la nostra natura umana abbassando il suo essere infinito e supremo. L’altro consiste nell’abbassare questa stessa umanità per condurre un vita laboriosa e pellegrina sulla terra, vita di sofferenza e vita che muore[22]. Il Bérulle dice: “Voglio che lo spirito di Gesù sia lo spirito del mio spirito e la vita della mia vita. Che io non sia altro che una nuda capacità e un puro vuoto, riempito di lui e non di me, per sempre”[23].
Il voto di servitù non significa nient’altro che piena adesione a Gesù e a Maria. È interessante, ma senza sorpresa, che nella spiritualità del Bérulle il tema dell’adesione è molto presente. Il Bérulle si ispirava alla kénosi dell’epistola ai Filipesi di S. Paolo, ma rivela pure l’influsso di Benoit de Canfield che nella Regola di perfezione spiegava il tema dell’annichilamento. L’adesione a Cristo presuppone l’abnegazione totale fino all’annientamento. Lo si fa proprio attraverso il voto di servitù[24].
Attraverso l’adesione all’umanità di Gesù, l’uomo trova la sua verità e trova se stesso. Con questa grazia può riempire la vocazione di lodare Dio. Unico e perfetto adoratore del Padre è solo Gesù. “Per la potenza del mistero dell’incarnazione, l’umanità entra in questa specie di alleanza e di unità con Dio stesso”[25].
Dio uscendo da sé ed entrando nella bassezza dell’essere creato fa entrare la sua creatura, temporale e mortale, nell’infinita grandezza. “La prima operazione di Dio è la produzione del suo Verbo. E l’ultima è l’incorporazione di questo stesso Verbo nella natura umana”[26]. Qui l’autore tocca l’argomento scolastico del sussistere della propria natura. Possiamo anche riscoprire il pensiero berruliano dove Gesù è il centro di tutto. In Lui l’universo, venuto da Dio, ritorna a Dio. Gesù è l’alfa e l’omega del mondo.
3.3. Il mistero
Il Bérulle mostra il mistero dell’incarnazione come un mistero di unità. L’unità tra Padre e Figlio crea l’unità tra l’uomo e Dio. Questa unione è il frutto dell’opera dello Spirito Santo. Il cardinale descrive con bellissime parole il Suo lavoro. Lo Spirito Santo ha manifestato la Sua fecondità attraverso l’opera creatrice.
Lo stesso Spirito Santo, che ha iniziato a operare nel mondo sensibile, inizia a operare nel mondo invisibile, formando il nuovo principio dell’essere soprannaturale che crea un nuovo cielo e una nuova terra e costituisce un mondo nuovo e incomparabile. Egli imprime la sua fecondità nelle benedette viscere della Vergine santissima. Produce un uomo-Dio e dà una nuova nascita al Verbo eterno nella natura umana[27].
L’autore è consapevole che contemplando il mistero dell’incarnazione tocca veramente il mistero di Dio – del Verbo eterno generato dal Padre e che ha voluto essere generato per i secoli e che poi ha voluto nascere.
Secondo il Bérulle sono tre i misteri fondamentali della fede cristiana: il mistero della santissima Trinità, per il quale tutte persone sono state create. Poi vi è l’incarnazione, attraverso la quale sulla terra regna la vita nuova e viene distrutto il peccato. Infine, l’eucaristia attraverso la quale Dio offre la Sua Grazia, il Suo Spirito e la sua divinità per poter raggiungere la vita eterna[28].
Così, l’autore spiega il mistero di Dio: Egli abita in Sé stesso.Volendo comunicarsi fuori di sé ha creato il mondo ed è in ogni cosa – più intimamente della luce. È per questo, che ogni essere creato, è inseparabile ed anche dipendente. Gesù discendendo dai cieli lo fa indipendentemente. Però assumendo la natura umana e temporale si fa dipendente dalla Santa Trinità.
I Suoi seguaci imitano dunque la Sua umile dipendenza. Anche loro sono dipendenti dalle Sue leggi, dal Suo amore, dalla Sua potenza. Battezati sono invitati a trovare la vita nella Sua morte, il riposo nella Sua croce, la salvezza nelle Sue piaghe, la gioia nelle Sue sofferenze, l’onore nei Suoi obbrobri, la libertà nella Sua prigionia e la grandezza nella Sua umile e volontaria dipendenza[29].
Il Bérulle sviluppa il pensiero secondo cui Gesù è l’unico mediatore tra gli uomini e il Padre. È Lui che viene al mondo per vincere la morte che gli uomini non potevano vincere e per dar loro la vita eterna e la sua eternità. “Aderiamo a lui perché, in lui, la nostra umanità aderisce alla Sua divinità”[30].
Nel cuore di questo mistero è l’amore. Il Bérulle dice che Dio è bambino per amore e non per necessità della condizione come i figli degli uomini. Allo stesso modo, secondo Bérulle, vediamo Dio che soffre, Dio che muore e Dio morto su una croce e posto in un sepolcro. Ma è l’amore e non la sua natura a ridurlo in questo stato[31].
Però, Dio amando se stesso, ama pure il mondo. L’ama di un amore meraviglioso e straordinario. L’autore scrive le più belle considerazioni sull’amore. Dice così:
“Noi cerchiamo più di conoscere Dio che di amarlo. Ora, la conoscenza è ben diversa dall’amore. La conoscenza attrae l’oggetto a sé. L’amore, al contrario, porta l’anima nell’oggetto che essa ama. La conoscenza pone l’oggetto in noi e non pone noi nell’oggetto. L’amore, al contrario, ci pone nell’oggetto e ci trasporta in esso. Ne deriva che, per mezzo della conoscenza, l’anima sulla terra possiede Dio, non come egli è in se stesso, ma come è in questa conoscenza. Viceversa, per mezzo dell’amore, l’anima possiede Dio fin da questa terra come egli è in se stesso e non come egli è nella conoscenza. I cristiani, nondimeno, che non possono amarlo come è in se stesso, si sforzano più di conoscerlo che di amarlo. Ne consegue che vi sono molte scuole e accademie per elevare le anime in questa oscura conoscenza incerta ed imperfetta; ve ne sono invece così poche, e così poco frequentate, per elevare e perfezionare l’anima nell’amore e nel possesso elevato ed eminente del suo Dio attraverso la via dell’amore. Tuttavia non possiamo, in questa vita mortale, conoscere Dio quanto vorremmo, ma possiamo amarlo quanto vogliamo, elevandoci di grado in grado, per sua grazia, nel suo amore. Dal grado di questo amore sulla terra dipendono lo stato e il grado della conoscenza di Dio che avremo eternamente in cielo. Infatti conosceremo Dio per quanto l’avremo amato e non per quanto l’avremo conosciuto sulla terra”[32].
È molto interessante seguire il pensiero del Bérulle sulla unione ipostatica. L’autore spiega che il Verbo eterno, per poter unire tutta l’umanità con il Padre, voleva unirsi alla natura umana per mezzo di un’unione reale, cioè in una stessa persona sono presenti due nature distinte e distanti. Questo legame rimarrà per l’eternità. Per sempre, scrive il Bérulle, “fino a quando Dio sarà Dio, Dio sarà uomo”[33].
Il tema dei misteri Pierre de Bérulle l’ha tanto sviluppato nei suoi scritti. Abbiamo visto che i misteri di Gesù, secondo il Bérulle, non sono solo i buoni esempi da seguire. Essi, nella potenza con cui sono stati compiuti offrono al cristiano lo stesso spirito, la stessa grazia che aveva Gesù. Il cardinale Bérulle rendendo grazie a Dio, testimonia che per lui la teologia del mistero non era pura teoria, invece una realtà: “Tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio (1 Cor 3, 23). Tu hai voluto, gran Dio, che ogni opera delle tue mani fosse per l’uomo, e hai asservito questo mondo al nostro uso e alla nostra utilità. Ma, per un eccesso d’amore incomparabile, tu hai voluto anche essere nostro, essere nostro in maniera tale che nulla è così perfettamente nostro se non te, Signore Gesù. Poiché tu sei così nostro, noi siamo tuoi. Siamo completamente tuoi come tu sei completamente nostro. E tu, tu sei del Padre eterno come suo Figlio, suo Figlio unigenito. Siamo dunque, tuoi come apparteniamo a nostro padre, poiché nasciamo da te per grazia, come tu nasci dal Padre per natura”[34].
3.4. Le tre nascite di Gesù
Il tema del mistero dell’incarnazione l’autore lo sviluppa meditando le tre nascite di Gesù. Spiega che queste tre nascite si devono intendere come: la prima nel seno del Padre alla vita eterna. Poi la seconda nel seno della Vergine, alla vita temporale, e la terza nascita, nel sepolcro, alla vita immortale.
Per questa prima nascita Gesù è Dio, il Figlio del Dio vivente. L’autore vuole spiegare e adorare che Dio che genera è Dio che è generato. In terra si mostra come uomo, nella mangiatoia come bambino e sulla croce come morto. Tuttavia lo dobbiamo adorare come Dio. Il Bérulle introduce pure la distinzione tra essere generato e procedere dal Padre. Per spiegare il mistero della Trinità usa alcuni concetti di s. Agostino. Essendo davanti a questa prima nascita, il procedere del Figlio dal Padre, i cristiani sono invitati a adorarla “e non cercare deboli ragioni su un soggetto che la ragione non può raggiungere e che Dio non ha rivelato”[35].
La seconda nascita è meditata a lungo e gradualmente perché, ciò abbiamo già visto, il mistero dell’incarnazione e il centro della spiritualità berulliana. Figlio eterno si nasce la seconda volta. Entra nel tempo. Il Bérulle affascinato di questa incarnazione di cui fa il centro della sua vita spirituale, medita a lungo sulle grandezze che vi scopre. Vale la pena citare un brano: “Colui che sembra uscire dal seno del Padre per entrare nel seno della Vergine, in realtà non abbandona il seno della Vergine, in realtà non abbandona il seno del Padre. Contemporaneamente egli è divinamente nel seno del Padre e umilmente nel seno della Vergine”[36].
L’autore in questa seconda nascita vede la nuova grandezza: “La sua nascita eterna è la prima emanazione e comunicazione di Dio in sé stesso. La sua nascita temporale è la prima e suprema emanazione e comunicazione fuori di sé. Essa si produce nell’universo e porta alla creatura la più alta comunicazione di Dio che possa essere fatta fuori di sé”[37].
Questa nascita è un mistero di vita nova, di luce nuova e il mistero di santità. Essa è anche un mistero di offerta e di adorazione. In Gesù, l’autore vede l’ostia data dal Padre per mezzo dell’offerta che Gesù fa di se stesso. Possiamo anche scoprire il volto nascosto del cuore di Gesù nel momento del Suo ingresso nel mondo: la voglia di offrirsi al Padre (cf. Eb 10, 7).
Abbiamo già visto una visione dell’uomo, cioè l’uomo totale dipendente da Dio. Il Bérulle intende l’uomo creato come un grande miracolo, una unità spirituale-corporale, con la sensitività come gli animali e l’intelligenza come gli angeli. Però, addirittura l’autore conclude: “Mi sembra che l’uomo, che è ad immagine di Dio dal quale è creato, sia ancora l’immagine dell’uomo-Dio dal quale è ricreato [...] Così, mi sembra, Dio che vede le cose future nel presente, vedeva in quest’opera della creazione quella dell’incarnazione e si compiaceva nel pensare al secondo Adamo mentre plasmava il primo”[38].
Tra tutti i pensieri e meditazioni che ha fatto il Bérulle non mancano quelle su Maria. Sono veramente belle parole in cui l’autore fa riferimento alla felice condizione nella quale entra Maria. Dona la vita a Gesù perché è Suo Figlio e riceve anche la vita da Gesù perché lui è il Suo Dio. In Maria si sviluppa una vita misteriosa della maternità. Il Bérulle spiega:
“Questa maternità della Vergine contiene due nascite di Gesù: la nascita nella Vergine e la nascita al di fuori della Vergine. La nascita nella Vergine avviene a Nazaret dopo l’annuncio dell’angelo. La nascita fuori della Vergine si compie a Betlemme nove mesi dopo che ella ha concepito il Figlio di Dio. Nella nascita interiore, la Vergine riceve il Verbo eterno. Nella nascita esteriore, ella dona al mondo il Verbo incarnato”[39].
La terza nascita per Gesù è la Sua morte. “Infatti la croce è un nido, non soltanto per noi, ma anche per lui. Essa è il nido della Sua vita e della sua rinascita nell’immortalità”[40]. La seconda nascita è terminata sulla croce, invece la terza termina in cielo. La vita trionfa in Gesù e attraverso Gesù.
Il cardinale Bérulle alla fine dell’opera lascia l’immagine di Gesù come un re, un sovrano. In ogni mistero della vita, secondo l’autore, Gesù è il re. Sia durante la nascita e nella Sua vita di umiltà che durante la morte. Dice così: “Egli è redentore e noi suoi prigionieri. Egli è sempre sovrano e noi sempre suoi vassalli, vassalli del suo amore, della sua grandezza, del suo Spirito e della sua gloria. E dobbiamo rendergli l’omaggio della nostra servitù, trovando la nostra vita nell’obbedienza, la nostra libertà nella servitù, la nostra gloria nella dipendenza che dobbiamo rendere a Gesù, Figlio unigenito di Dio, amore e potenza del Padre, re di gloria, Signore sovrano degli uomini e degli angeli”[41].
3.5. Il Narré
Dall’inizio è evidente che Pierre de Bérulle ha redatto Le grandezze di Gesù per difendere la sua cristologia contro attacchi verso il voto di servitù. Però non voleva trascurare la difesa speciale del voto di servitù. Questo è lo scopo del Narré. L’autore spiega che il voto di servitù è un voto interiore e non esteriore, particolare e non pubblico. Secondo l’autore, Gesù ha instaurato questo voto attraverso l’incarnazione. Invece Maria fu la prima professa. Ogni cristiano lo fa durante il battesimo.
Con questo voto tutte le azioni sono mosse da un nuovo spirito, spirito d’amore per Gesù. Quindi, non si richiedono nuove azioni. Si cambiano intenzioni e disposizioni. Gesù dovrebbe diventare il fine e l’oggetto di tutte le azioni. “La differenza non è esteriore, ma interiore, non è agli occhi degli uomini, ma agli occhi di Gesù. Senza cambiare le condizioni esteriori, noi cambiamo lo spirito dall’interno”[42].
4. Riflessioni finali
Prima del Concilio Vaticano II, molti cattolici, specialmente preti e religiosi, venivano formati nella spiritualità berulliana, per esempio il fondatore dei dehoniani – padre Leon Giovanni Dehon[43]. Ma purtroppo, come scrive A. M. Minton, spesso in quel tempo si sottolineavano gli aspetti negativi del pensiero berulliano[44]. Dopo aver letto Le grandezze di Gesù, sia lecito affermare che le idee berulliane possono apportare un grande contributo per la spiritualità contemporanea.
L’opera dimostra una grande alleanza tra la teologia spirituale e la teologia dogmatica. Nei tempi di Bérulle non era ancora presente la teologia spirituale come una scienza propria. Possiamo, quindi, ammirare con quale profondità l’autore dell’opera usa la teologia dogmatica. Proprio oggi ci si augura che la teologia dogmatica diventi più mistica che astratta. Però, dall’altra parte, anche oggi osserviamo lo sviluppo di varie spiritualità. Secondo il Bérulle solo il dogma è pura fonte della vita cristiana. A volte la mancanza di un fondamento teologico, fa sì che si producano false spiritualità. Quindi, la testimonianza del Bérulle in questo punto è enorme[45].
Il cristocentrismo del Bérulle, cioè la centralità dell’incarnazione, oggi non si sviluppa tanto. È vero che il cristocentrismo era una delle più importanti colonne dell’insegnamento di Giovanni Paolo II[46]. Però osservando molti nuovi gruppi ecclesiastici, si può constatare che ora, nel campo della spiritualità regnano: il mistero pasquale, il mistero della misericordia e il mistero dello Spirito Santo. Invece il mistero dell’incarnazione è collocato sempre in fondo. Se lo si considerasse in modo più consapevole si potrebbe approfondire il grande amore del Padre che ha mandato sulla terra il proprio Figlio.
Invece l’idea dell’importanza dei misteri della vita di Cristo è adesso molto attuale. Basta vedere e leggere Il Catechismo della Chiesa Cattolica. Vi si spiega che tutta la vita è mistero di redenzione e di ricapitolazione. Il Catechismo dice, che Gesù attraverso i Suoi misteri ci si mostra come nostro modello. Ma Il Catechismo mostra pure l’altro lato, direi quello berulliano: “tutto ciò che Cristo ha vissuto, egli fa sì che noi possiamo viverlo in lui e che egli lo viva in noi. Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo [Gaudium et Spes, 22]. [...] «Noi dobbiamo sviluppare continuamente in noi e, infine, completare gli stati e i misteri di Gesù. Dobbiamo poi pregarlo che li porti lui stesso a compimento in noi e in tutta la sua Chiesa. [...] Il Figlio di Dio desidera una certa partecipazione e come un’estensione e continuazione in noi e in tutta la sua Chiesa dei suoi misteri mediante la grazia che vuole comunicarci e gli effetti che intende operare in noi attraverso i suoi misteri. E con questo mezzo egli vuole completarli in noi”[47].
Poi Il Catechismo fa la catechesi sui misteri dell’infanzia, sulla sua vita nascosta, sui misteri della vita pubblica, sul mistero della vita e della morte, e poi sul mistero della discesa agli inferi e della risurrezione, sul mistero dell’ascensione, quello della venuta di Gesù alla fine della storia. Questo è un segno che la Chiesa vuole affogare ogni esperienza umana nell’unico mistero di Cristo.
Aveva ragione il Bérulle nel sviluppare, accanto al mistero dell’incarnazione, il tema della consacrazione e adesione a Gesù. Oggi potrebbe suonare strano richiamare l’argomento del voto di servitù. Però nei nostri tempi in cui si fa spesso la divisione tra la vita e la fede è molto importante approfondire la consacrazione battesimale e la testimonianza che ne deriva.
Quindi, il tema dell’adesione al Cristo è molto attuale. Poi la via necessaria a quell’adesione, cioè una disposizione cristocentrica di autotrascendenza, è pure attuale. È chiaro che il modo di capirla è cambiato. Non lo si considera come pieno annichilamento nel “nulla” delle creature. È piuttosto il processo del sottomettere tutte le ricchezze umane alla potenza della grazia.
E’ pure attuale l’argomento di totale dipendenza dell’uomo da Dio, specialmente nel mondo di oggi, pieno di cultura consumistica. Invece, la concezione della persona, come nulla, e la sua natura come totalmente depravata non va d’accordo con la spiritualità odierna in cui si vede che la natura, da una parte buona, dall’altra cattiva, è pur sempre un fondamento della grazia divina.
Quindi, abbiamo visto che Le grandezze di Gesù, quest’opera classica, potrebbe influire in molti campi della spiritualità vissuta dall’uomo d’oggi.
Bibliografia
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[1] Il primo a chiamarlo così fu il papa Urbano VIII. Cf. Pierre de Bérulle, in The Catholic Encyclopedia, http://www.newadvent.org/cathen/02524b.htm
[2] Cf. B. Meuret, Introduzione, in P. Bérulle, Le grandezze di Gesù. Brani scelti, Cinisello Balsamo 1998, 5.
[3] Cf. L. Cognet, Spiritualità moderna. La scuola francese (1500-1650), Bologna 1974, 118-121; M. Marcocchi, La spiritualità tra giansenismo e quietismo nella Francia del Seicento, Roma 1983, 34-35.
[4] Cf. L. Cognet, Spiritualità moderna. La scuola francese, 120-121; M. Marcocchi, La spiritualità tra giansenismo e quietismo, 35.
[5] L. Cognet, Spiritualità moderna. La scuola francese, 127.
[6] Cf. Ibid., 128.
[7] Cf. Ibid., 129-131.
[8] Cf. Ibid., 133-137; E. Ziemann, Być kapłanem Serca Jezusowego, Kraków 2006, 98.
[9] Cf. B. Meuret, Introduzione, 8-9.
[10] Cf. Ibid., 9.
[11] Cf. B. Meuret, Introduzione, 11-12.
[12] Cf. R. Boureau, Note del curatore, 14.
[13] Cf. B. Meuret, Introduzione, 9-10; B. Secondin, Storia della spiritualità moderna, Roma 2002-2003, 76-79.
[14] Cf. P. Bérulle, Le grandezze di Gesù, Cinisello Balsamo 1998, 18.
[15] Cf. Ibid., 22.
[16] Cf. Ibid., 23-24.
[17] Ibid., 24-25.
[18] Cf. Ibid., 27-27.
[19] Cf. Ibid., 30.
[20] Ibid., 33-34.
[21] Cf. L. Congnet, Spiritualità moderna. La scuola francese, 163-166.
[22] Cf. Ibid, 159; P. Bérulle, Le grandezze di Gesù, 36-37.
[23] Ibid., 36.
[24] Cf. L. Congnet, Spiritualità moderna. La scuola francese, 165-170; M. Marcocchi, La spiritualità tra giansenismo e quietismo, 35.
[25] Cf. P. Bérulle, Le grandezze di Gesù, 46.
[26] Cf. Ibid., 49.
[27] Cf. Ibid., 44.
[28] Cf. Ibid., 54-55.
[29] Cf. Ibid., 59.
[30] Cf. Ibid., 65.
[31] Cf. Ibid., 70.
[32] Ibid., 74-75.
[33] Ibid., 80.
[34] Ibid., 81.
[35] Ibid., 88.
[36] Ibid., 91.
[37] Ibid., 92.
[38] Ibid., 96.
[39] Ibid., 100-101.
[40] Ibid., 103.
[41] Ibid., 108-109.
[42] Ibid.¸116-117.
[43] Cf. E. Ziemann, Być kapłanem Serca Jezusowego, Kraków 2006, 243-343.
[44] Cf. A. M. Minton, The Spirituality of Bérulle: A New Look, „Spirituality Today” 3 (1984), 210-219.
[45] Cf. M. Szymula, Sprawozdania. Pierwsze ogólnopolskie sympozjum mistyki, „Warszawskie Studia Teologiczne” 11 (1998), 402, http://pwtw.pl/wp-content/uploads/wst/11/Sprawozdania2.pdf (odczyt z dn. 5.10. 2016 r.).
[46] Cf. Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis (1979), 1.
[47] Catechismo della Chiesa Cattolica, Casale Monferrato 2003, 521. Cf. G. Moioli., La perdurante presenza dei misteri di Cristo nel pensiero del Card. de Bérulle, ”La Scuola Cattolica”, 90 (1962) 115-132.