Una delle più grandi sfide dell’uomo di oggi è il non voler trovarsi sulla „piazza eucaristica d’oro” insieme agli altri. La cultura individualistica dell’epoca moderna, preceduta dalla visione scolastica della Chiesa, resta ancora fortemente presente nella coscienza ecclesiale e in quella dell’uomo in generale. Il recupero della visione d’insieme, dell’equilibrio fra cristologia e pneumatologia dei primi secoli è, secondo Ioannis Zizioulas[1], un adeguato rimedio per questa malattia.

L’”essere ecclesiale” è una concreta manifestazione della dimensione pneumatologica e cristologica in ecclesiologia, cioè, dell’essere plasmati dallo stesso Spirito perché, „[…] pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e ciascuno per la sua parte siamo membra gli uni degli altri” (Rm 12,5).

 

Cristologia condizionata dalla pneumatologia e viceversa

Ioannis Zizioulas è conscio che, fino agli anni ’60 del secolo scorso, la teologia cattolica non era ancora capace di recepire ed assimilare l’equilibrium cristologico-pneumatologico in ecclesiologia il quale era un efficace rimedio ai problemi della patristica cristiana. Purtroppo, nel corso del tempo, la cristologia vista in rapporto all’evento dell’Incarnazione venne sempre più considerata come un concetto completo e precisamente definito. Di conseguenza, non pochi studiosi ortodossi accusarono i cattolici di „cristomonismo” o „filioquismo”. Dall’altro lato, non mancavano anche quelli che volevano introdurre nell’ecclesiologia la cosiddetta „economia dello Spirito”, per mettere in rilievo l’indipendenza dello Spirito da Cristo[2].

Già la base scritturistica permette a Zizioulas di notare questi due approcci del legame Cristo-Spirito. Il primo, ben espresso tramite la parola „dispersione”, richiama lo stile missionario-storico e il secondo, che può essere definito con l’aiuto del vocabolo „convocazione”, si riferisce al tipo eucaristico-escatologico[3]. La ricerca zizioulana vuole mettere a fuoco una domanda concreta: la pneumatologia è influenzata dalla cristologia o viceversa, la cristologia viene pneumatologizzata?

La prima visione è rinvenibile nel vangelo di Giovanni nel quale Cristo appare come sorgente dello Spirito. Gesù è „la verità” e lo Spirito è „lo Spirito di verità” (cfr. Gv 14,6.17), Cristo lo manda ai suoi discepoli (cfr. Gv 20,22) e chiede di venire a sé e bere l’acqua della vita (cfr. Gv 7,37-38) – invito che trova il suo compimento sulla croce, quando dal suo costato trafitto esce il sangue e l’acqua (cfr. Gv 19,34)[4]. Tale pneumatologia, condizionata dalla cristologia, viene definita in termini di missione. Lo scopo consiste nel procedere, camminare nella fede sotto la guida dello Spirito ed in obbedienza al Cristo. Questo è il compito della Chiesa, la quale, essendo il corpo, segue il suo capo nel passaggio verso il Regno. La valutazione finale zizioulana non è favorevole a tale tipo di pneumatologia perché porta a una concezione lineare della storia che implica una certa distanza fra colui che conduce e colui che gli va dietro[5].

Il secondo concetto, quello eucaristico-escatologico – „l’«uno» nei «molti» ed i «molti» nell’«uno»” – si può trovare nei testi sinottici e paolini, dove lo Spirito viene presentato come colui che costituisce la vera e propria identità del Cristo. In questo caso Zizioulas richiama l’evento del battesimo di Gesù (cfr. Mc 1,10), il suo concepimento biologico dalla vergine Maria (cfr. Lc 1,35a) e la sua gloriosa risurrezione operata dal Padre nella potenza dello Spirito Santo (cfr. Rm 8,11)[6]. I menzionati scritti neotestamentari rivelano in modo esplicito che non c’è Cristo senza lo Spirito e poiché lo Spirito significa „la comunione”, anche la Chiesa deve necessariamente fare parte della definizione di Gesù. Tale approccio implica „la personalità corporativa” di Cristo il quale non è più pensabile come l’„uno” ma esiste nei „molti”: „The body of Christ is not first the body of an individual Christ and then a community of «many», but simultaneously both together. Thus you cannot have the body of the individual Christ (the One) without having simultaneously the community of the Church (the Many)”[7].

La pratica liturgica della Chiesa primitiva non indicava esplicitamente una priorità di un concetto rispetto all’altro. Esistevano comunità nelle quali il battesimo precedeva la cresima e altre (Siria, Palestina), dove al contrario, la cresima aveva la precedenza. Se identifichiamo il battesimo con l’azione di Cristo, là dove questo sacramento era amministrato per primo, teoricamente tale posto sarebbe stato occupato dalla cristologia. Invece, se consideriamo una relazione diretta tra cresima e persona dello Spirito Santo e mettiamo il sacramento della confermazione all’inizio del cammino sacramentale dell’uomo, di conseguenza la pneumatologia verrebbe anteposta alla cristologia[8]. Tuttavia, il discorso sulla precedenza non ha alcun senso perché è fuori dal contesto storico-teologico dell’epoca. In quel tempo entrambi i riti funzionavano inseparabilmente e in tal modo facevano viva sintesi teologico-liturgica nel seno della Chiesa: „And yet there is also evidence suggesting that baptism itself was inconceivable in the early Church without the giving of the Spirit, which leads to the conclusion that the two rites were united in one synthesis both liturgically and theologically […]”[9]. Inoltre, l’idea di base consisteva nell’affermare che tutte le operazioni di Dio ad extra, sono una sola ed unica opera dei Tre. Questa dichiarazione permetteva di unire lo spazio dell’economia divina, escludendo la possibilità di dividerlo fra il cristologico e il pneumatologico[10].

Dunque, secondo Zizioulas, appare ineludibile attestarsi su questa oscillazione fra cristomonismo e pneumatocentrismo, fra l’Occidente e il suo carattere istituzionale e la corrente slavofila assolutamente concentrata sul principio interiore[11]. Secondo il suo pensiero, la problematica del rapporto cristologia-pneumatologia non può essere considerata con l’aiuto della parola „priorità” bensì con quella di „pericoresi”. Come vediamo, l’affermazione zizioulana, ancora una volta, è fondata su un concetto tipicamente trinitario il quale può superare l’argomento della „priorità” a vantaggio della „simultaneità”: tutti sono presenti, nessuno è assente. Il proprium del Figlio consiste nel „diventare storia” e quello dello Spirito „[…] nel portare l’umanità del Figlio nella storia «oltre la storia», precisamente nell’eschaton[12].

Le sfumature del rapporto Cristo-Spirito esigono una sintesi anche da parte della teologia contemporanea. La risposta zizioulana è positiva però richiede sempre la visione comunionale nella cristologia. La comprensione integrale dell’esistenza cristologica suppone due passi: lo Spirito che forma il Cristo e il Cristo che manda lo Spirito[13]. L’„uno” e i „molti” sono opera dello Spirito e simultaneamente l’„uno” dà lo Spirito ai „molti”. Come Zizioulas, anche noi, sulla base del concetto della „personalità corporativa” di Cristo, siamo capaci di fare sia una sintesi cristologico-pneumatologica che una eucaristico-ecclesiale[14].

 

Il ruolo comunionale dello Spirito Santo nell’ecclesiologia: „l’«uno» nei «molti» e i «molti» nell’«uno»

La cristologia è inconcepibile senza l’ecclesiologia. L’essere del corpo, nei suoi diversi membri, è la condizione indispensabile dell’essere del capo. L’opera principale dello Spirito consiste nell’aprirci agli altri perché lui è lo Spirito della relazione. Non c’è alcun „uno” che non sia condizionato dai „molti”. L’esistenza dell’«uno» senza i «molti» rappresenterebbe un individuo che non è stato plasmato dallo Spirito. Allora, il corpo di Cristo (Cristo escatologico) come opera dello Spirito per eccellenza viene automaticamente deindividualizzato. La frase più volte ripetuta: „Cristo sì, Chiesa no”, non esprime altro che la negazione dell’opera dello Spirito in Cristo[15].

Notevole è la risposta zizioulana: l’”uno” senza i „molti” è un individuo non toccato dallo Spirito. Questo non potrebbe essere il Cristo della nostra fede[16]. Lui invece è primogenito tra i molti fratelli (cfr. Rm 8,29) perché lì incorpora in sé. Ne parleremo in seguito attraverso il concetto della „personalità corporativa” le cui origini risalgono al libro della Genesi.

Nell’Antico Testamento troviamo non poche „personalità corporative”, che esprimevano la totalità d’Israele. I testi zizioulani richiamano ad esempio Abramo, il quale era, simultaneamente, l’”uno” e i „molti”; ciò vuol dire che in Abramo erano incluse tutte le generazioni dopo di lui, le quali formavano la sua propria identità[17]. Eppure, nonostante il loro numero, a causa della mancanza dell’elemento qualitativo (comunionale), esse non rivelano più il compimento finale di ogni uomo. Essendo condizionate dal mondo postlapsale, invece di portare e di trovare la vita – „l’«uno» nei «molti» e i «molti» nell’«uno»” –, esse trasmettevano la morte[18].

Tale visione dell’umanità intera spinge Zizioulas a parlare dell’importanza della comunione che, dopo la caduta del primo uomo, non è più parte integrale della condizione umana. Secondo le parole di Zizioulas, l’uomo nella sua organicità è diventato frammentato e perciò un essere non comunionale. Al contrario, all’inizio della creazione, ’adam è uscito dalle mani dei Tre come „personalità corporativa” ed esisteva come tale fino al momento della sua idolatria. Il peccato ha rotto violentemente la vita comunionale con Dio e con gli uomini. Secondo Zizioulas non si tratta della semplice trasmissione del male, come se esso fosse qualche oggetto da ricevere, ma piuttosto della fondamentale irruzione del male nell’essere umano. Lo squarcio si è immediatamente diffuso su tutti gli uomini perché ’adam portava in sé l’umanità intera[19]. Di conseguenza, poiché il suo essere causava l’essere degli altri, la sua caduta ha portato anche loro al fallimento[20].

Si prova a superare il peccato originale[21] attraverso le „personalità corporative” veterotestamentarie, però, invano. In tutti questi casi, la piena relazionalità alla quale era improntato l’uomo prima del peccato è irraggiungibile[22]. Tale incapacità provoca Zizioulas ad affermare che in realtà non si dovrebbe parlare di „personalità collettive” nell’Antico Testamento[23] (escludendo la figura di ’adam prima del peccato), perché la conditio sine qua non di tale concetto appartiene alla relazione costante e personale fra l’”uno” ed i „molti”[24], la cui garanzia è soltanto la comunione con Dio[25].

’Adam, colui che aveva il compito della protezione dell’umanità intera in sé, non riusciva a portarlo a compimento[26]. Nonostante abbia rappresentato il fallimento del progetto divino, come sostiene Zizioulas, la causalità dell’”uno” verso i „molti” è voluta da Dio[27]. Causato dall’”uno” e dall’”uno” dipendente, tutto il genere umano, scoraggiato dalla sua incapacità di superare il circolo vizioso, comincia ad attendere il redentore: „Creation, in a state of mortality, owing to its having had a beginning, awaits the arrival of the being determined not by a beginning but by the end – Man, the perfecter of creation”[28].

Le speranze giudaiche nel Messia che sarà capace di restaurare il vero modello della „personalità corporativa” risalgono già, come abbiamo visto, al tempo del Vecchio Testamento. Tale idea consisteva nella tradizione dell’”ultimo giorno” nel quale il popolo disperso sarebbe stato chiamato e radunato intorno alla persona di un Messia. La sua presenza era visibile soprattutto nel Libro del profeta Isaia, dove il profeta lo identifica con la figura del „Servo sofferente” che porta su di sé il peccato del mondo (cfr. Is 52,13-53,12). Anche nei testi apocalittici, cominciando da Daniele, è presente un misterioso personaggio definito „Figlio dell’uomo” che appare come un Messia escatologico sulle nubi del cielo (cfr. Dn 7,13-14). Secondo i racconti sinottici (cfr. Mc 8,38; Mt 16,27; Lc 9,26), Cristo stesso sceglie queste caratteristiche come proprie e le riunisce nella sua persona. Infatti, sembra che lo abbiano anticipato e forse perciò gli sono diventate straordinariamente familiari[29].

L’incorporazione dei „molti” nell’”uno”, nella tradizione del „Servo del Signore”, è strettamente connessa, nonostante qualche divergenza, con i testi dell’ultima cena. L’”uno” dona se stesso per gli altri[30], rappresentandoli ontologicamente nella sua morte (cfr. Mc 14,24; 1Cor 11,24). L’uso della terminologia sacrificale („molti” o „voi”, „per i quali” o „al posto dei quali”)[31] indica che la „personalità collettiva” del „Servo del Signore” si attualizza proprio nell’eucaristia. Tale comprensione del Secondo Isaia è pure testimoniata dai testi liturgici fin dall’antichità cristiana[32].

Esprimiamo simili considerazioni rispetto alla tradizione del „Figlio dell’uomo”. Nel Vangelo di Giovanni se ne parla „[…] come di colui che assume i molti in sé, soprattutto dando la sua carne per nutrire il popolo di Dio e per ricondurlo all’unità”[33]. Nel sesto capitolo che, senza esagerazione, può essere definito „eucaristico”, Gesù, in modo esplicito, parla del mangiare la carne del „Figlio dell’uomo” (cfr. Gv 6,53). Questo fa sì che chiunque la mangi, sarà incorporato in lui (cfr. Gv 6,56). Notiamo che Giovanni nel suo vangelo non si riferisce al corpo di Cristo, ma piuttosto a quello del „Figlio dell’uomo”. „Quest’espressione, più volte ricorrente […] può leggersi nel senso giovanneo dell’incorporazione dei discepoli, mediante il Cristo, all’unità della vita trinitaria”[34]. Il suo ruolo è decisivo perché corporativo[35].

La piena incorporazione dei „molti” nell’”uno”, durante il banchetto eucaristico, trova il suo culmine nella preghiera di Gesù: „perché tutti siano una sola cosa” (cfr. Gv 17,21). Ne risulta, allo stesso tempo, che „i presupposti eucaristici dell’ultima cena sono messi in relazione profonda con l’unità escatologica in Cristo”[36]. Il „Figlio dell’uomo” realizza quest’unità in ogni celebrazione liturgica nonostante essa sia soltanto un evento transitorio[37].

Il riferimento alle figure messianiche presenti nei brani eucaristici sembra indicare una chiara consapevolezza della relazione eucaristia-Chiesa. Le formulazioni scritturistiche che mostrano i termini di causalità genetica esprimono l’unità ecclesiale non tanto come somma di individui, ma piuttosto come incorporazione ontologica in Cristo il quale è l’unico, „l’«uno» capace di riassumere in sé i «molti»”[38].

L’evangelo di Giovanni è tutto impregnato di eucaristia, e, come se non bastasse, a proposito dell’identificazione dei „molti” nell’”uno” contiene anche altre espressioni misteriose ed impenetrabili come ad esempio la pericope giovannea che citiamo per intero: „In verità, in verità ti dico, [noi] parliamo di quel che [noi] sappiamo e testimoniamo quel che [noi] abbiamo veduto; ma voi non accogliete la nostra testimonianza. Se [io] vi ho parlato di cose della terra e non credete, come crederete se [io] vi parlerò di cose del cielo? Eppure nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell’uomo che è disceso dal cielo” (Gv 3,11-13)[39].

Zizioulas non chiarisce questo fenomeno linguistico, però conclude semplicemente che non è spiegabile al di fuori del contesto liturgico e delle categorie ecclesiali[40]. A proposito di tale scambio „io-voi”, egli fa riferimento a due testimonianze di san Paolo che, a suo parere, ci aiutano nella giusta comprensione del testo giovanneo. Esse rappresentano esplicitamente l’esempio concreto di quest’espressione filologica che si realizza nella vita di ogni membro della Chiesa.

Il primo testo mostra l’Apostolo che, durante il suo viaggio a Damasco, sente le parole di Cristo: „Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?” (At 9,4b). Zizioulas lo commenta in modo indiretto riferendosi all’insegnamento gesuano sul giudizio finale e sulla gloria del Figlio dell’uomo: „In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40). Emergono sia l’unità dei piccoli con Cristo, dunque il concetto dell’”uno” e dei „molti”, sia il fondo di tale evento, che è quello escatologico.

La seconda narrazione paolina è rinvenibile nella Lettera ai Colossesi. L’Apostolo fa riferimento al „Servo sofferente” e s’identifica pienamente con lui sia rispetto alle sue afflizioni che alla sua gloria futura: „Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Col 1,24). É da notare l’esplicito discorso paolino sulla „personalità corporativa” di Cristo, sulla coincidenza del corpo con il suo capo. Le relazioni indicano lo stupendo realismo dell’assimilazione delle due tradizioni nell’unica persona di Cristo, vissute simultaneamente nella propria carne da ogni cristiano[41].

In conclusione, Cristo come „personalità collettiva e corporativa” incarna pienamente il concetto relazionale della persona e diventa luogo dell’unità escatologica nella storia. „Infatti la carne del Cristo, plasmata dallo Spirito non è semplicemente la carne di un essere storico che in quanto tale si configurerebbe come un individuo ma di un essere escatologico e perciò comunionale”[42]. In tal modo arriviamo all’equilibrio cristologico-pneumatologico, all’evento storico ed ecclesiale di Cristo, che viene sempre liberato dalla storia grazie allo Spirito Santo[43].

La presenza escatologica di Cristo, mediante l’azione dello Spirito, fa sì che la realtà dell’”uno” e quella del „molteplice” coincidano simultaneamente[44]. A nostro parere, ciò è espresso perfettamente da Nicola Cabasilas, noto teologo bizantino apprezzato pure da Zizioulas, col quale chiudiamo la riflessione zizioulana su questo argomento: „Così, tra le qualità propriamente nostre ci definiscono e ci qualificano soprattutto quelle che più sono nostre: ora quel che è di Cristo è più nostro di quel che è da noi. È propriamente nostro perché siamo stati costituiti membra e figli ed abbiamo in comune con lui la carne, il sangue e lo Spirito […]”[45].

 

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[1] Nella prefazione dell’opera Comunione e alterità di I. Zizioulas, W. Kasper così ci presenta il nostro teologo: „Il metropolita Ioannis Zizioulas è conosciuto al vasto pubblico per il suo impegno ecumenico come co-presidente del dialogo cattolico-ortodosso. Con la sua visione della Chiesa come communio ha fortemente influenzato la comprensione cattolica odierna della Chiesa e ha contribuito in modo significativo all’avvicinamento delle Chiese sorelle di Roma e di Costantinopoli. Per i suoi studi ad Atene e Harvard, i suoi molti anni di insegnamento ad Edinburgo, Glasgow e Londra, poi ad Atene e Tessalonica, Ioannis Zizioulas è di casa sia nel mondo ortodosso che in quello occidentale […]. Fondamentali per Ioannis Zizioulas sono i Padri greci, in particolare Ireneo di Lione, i Padri cappadoci, soprattutto Basilio di Cesarea e, non ultimo, Massimo il Confessore. Allo stesso tempo, egli si è lasciato provocare dalle istanze del pensiero personalista moderno […]. Crea così in modo appassionante e originale un ponte tra i Padri greci e la filosofia contemporanea e sviluppa un’ontologia teologica «relazionale» indipendente che mette a confronto con la mentalità dell’Occidente, da lui qualificata come «sostanzialista»” (I. Zizioulas, Comunione e alterità, Roma 2016, IX-X).

[2] Cfr. I. Zizioulas, La dimensione pneumatologica della Chiesa, „Communio” 2 (1973), 469.

[3] Cfr. A. Papanikolaou, Being with God. Trinity, Apophaticism and Divine-Human Communion, Notre Dame (IN) 2006, 34.

[4] Cfr. P. McPartlan, The Eucharist Makes the Church. Henri de Lubac and John Zizioulas in Dialogue, Edinburgh 1993, 183-184.

[5] Cfr. A. Papanikolaou, Being with God, op. cit., 34. Secondo P. McPartlan, Zizioulas sottolinea con forza che la posizione secondo cui lo Spirito Santo sia presente solo dopo che si sia formata la persona di Cristo è assolutamente abiblico (cfr. P. McPartlan, The Eucharist Makes the Church..., op. cit., 167).

[6] Cfr. P. McPartlan, The Eucharist Makes the Church..., op. cit., 184.

[7] I. Zizioulas, The Ecclesiological Presuppositions of the Holy Eucharist, „Nicolaus” 10 (1982), 342.

[8] Siamo consapevoli che le parole di Zizioulas, almeno fino ad oggi, recano in sé una certa difficoltà nell’ambiente della dogmatica cattolica, soprattutto per quanto riguarda la visione del battesimo come „porta che apre l’accesso agli altri sacramenti» (Catechismo della Chiesa cattolica, Città del Vaticano 1992, 1213). Per questa ragione, per evitare qualsiasi sospetto di un nostro possibile fraintendimento del pensiero di Zizioulas, rispetto a questo punto, a nostro avviso molto delicato, abbiamo deciso di citare le parole dello stesso teologo: „It is well known that in Syria and Palestine confirmation preceded baptism liturgically at least until the fourth century, while in other parts, the practice of the Church which finally prevailed everywhere was observed, namely the performance of confirmation after baptism. Given the fact that confirmation was normally regarded as the rite of the «giving of the Spirit», one could argue that in cases where confirmation preceded baptism we had a priority of Pneumatology over Christology, while in the other case we had the reverse” (I. Zizioulas, Being as Communion. Studies in Personhood and the Church, London 1985, 128). A dare fondamento alle parole di Zizioulas è l’articolo di T. W. Manson che dice: „[…] there is another usage represented by the Didascalia, the Liturgical Homilies of Narsai, the Acts of Judas Thomas, the History of John the Son of Zebedee, the Life of Rabbula, a Syriac metrical homily on the baptism of Constantine, Ephraim’s Hymns on the Epiphany, and a sentence in the twelfth Homily of Aphraates, in which the anointing and imposition of hands [performance of confirmation] precede the baptism” (T. W. Manson, Entry into Membership of the Early Church, „Journal of Theological Studies” 48 (1947), 26).

[9] I. Zizioulas, Being as Communion..., op. cit.,128. Infatti, D. Salachas afferma che „[…] il sacramento del battesimo comprendeva il sacramento della crismazione: nella tradizione orientale i due sacramenti sono inseparabili» (D. Salachas, La legislazione della Chiesa antica a proposito delle diverse categorie di eretici, „Nicolaus” 2 (1981), 321).

[10] Cfr. I. Zizioulas, La dimensione pneumatologica della Chiesa, op. cit., 468-469.

[11] Cfr. A. Porpora, L’ecclesiologia ecumenica di Ioannis Zizioulas, Napoli 2002, 40-41. In realtà, Zizioulas si oppone fortemente sia alla teologia manualistica sia a quella liberale rappresentata dall’ambiente slavofilo (cfr. J. Syty, Il primato nell’ecclesiologia ortodossa attuale. Il contributo dell’ecclesiologia eucaristica di Nicola Afanassieff e Joannis Zizioulas, Roma 2002, 48).

[12] A. Porpora, L’ecclesiologia ecumenica di Ioannis Zizioulas, op. cit., 41.

[13] Notiamo, che la sintesi zizioulana non si basa sulla relazione ad intra fra il Cristo e lo Spirito, bensì sulla loro attività ad extra (cfr. C. Berger, Does the Eucharist Make the Church? An Ecclesiological Comparison of Stăniloae and Zizioulas, „St Vladimir’s Theological Quarterly” 51 (2007), 28).

[14] Cfr. P. McPartlan, The Eucharist Makes the Church..., op. cit., 167.185-186. Alcuni suggeriscono, che la simultaneità cristologico-pneumatologica in Zizioulas rimanga nella teoria, dando in ultima analisi la precedenza allo Spirito (cfr. E. Pavlidou, Cristologia e pneumatologia tra occidente cattolico e oriente ortodosso neo-greco. Per una lettura integrata di W. Kasper e J. Zizioulas in prospettiva ecumenica, Roma 1997, 168).

[15] Cfr. I. Zizioulas, The Mystery of the Church in Orthodox Tradition, „One in Christ” 24 (1988), 299.

[16] Cfr. ibid., 299.

[17] I protagonisti dell’idea della „personalità corporativa” erano, ad esempio, J. Pedersen (Israel, Its Life and Culture, v. I) e J. De Fraine. In De Fraine leggiamo: „è un fenomeno ben conosciuto dai libri sacri il fatto che l’intera nazione eletta sia trattata da Jahve e dagli stessi Israeliti come una persona unica. Tutta una serie d’immagini apertamente individuali sottolinea il carattere concreto, quasi fisico di quest’unità; e tale nota concreta mostra spesso la concretizzazione del gruppo in una vera persona individuale” (J. De Fraine, Adamo e la sua discendenza. La concezione della personalità corporativa nella dialettica biblica dell’individuale e del collettivo, Roma 1968, 126-127). Zizioulas, nella scoperta del concetto della „personalità corporativa”, vede, da una parte, uno scandalo per il pensiero occidentale, però, dall’altra, la chiave ermeneutica di tutta la Bibbia (cfr. I. Zizioulas, The Mystery of the Church in Orthodox Tradition, op. cit., 299).

[18] Cfr. P. McPartlan, The Eucharist Makes the Church..., op. cit., 171.

[19] Zizioulas fa implicitamente distinzione fra l’ousia prima (individuale) e l’ousia seconda (del genere). Nel caso di ’adam entrambe le ousie erano riunite nella stessa persona del primo uomo perché fino alla creazione di Eva non c’era alcun’altra persona del genere umano e perciò l’umanità esisteva in un solo esemplare di questo genere (cfr. H. Pietras, L’escatologia della Chiesa. Dagli scritti giudaici fino al IV secolo, Roma 2006, 100).

[20] Cfr. P. McPartlan, The Eucharist Makes the Church..., op. cit., 175.

[21] Per approfondire il tema del peccato originale nella prospettiva ortodossa si può leggere G. S. Romanidis, Il peccato originale. Chi è l’uomo? Quale la sua storia?, Trieste 2008.

[22] Cfr. P. McPartlan, The Eucharist Makes the Church..., op. cit., 173.

[23] Cfr. ibid., 179. Fra gli esegeti esistono diverse comprensioni del concetto della „personalità corporativa”. Lo scopo del nostro lavoro non consiste nel parlarne e perciò ci limitiamo soltanto alla presentazione della voce zizioulana.

[24] Cfr. I. Zizoulas, On Being a Person. Towards an Ontology of Personhood, in: C. Schwöbel, C.E. Gunton (ed.), Persons, Divine and Human. King’s College Essays in Theological Anthropology, Edinburgh 1991, 40.

[25] Cristo visto come „personalità corporativa” (all-inclusive being) vive ontologicamente nella sua Chiesa la quale, nel contempo, viene introdotta da lui nella sua eterna relazione filiale col Padre. Cristo s’immerge nella realtà storica che gli è ostile perché postlapsale, però, grazie al suo abbassamento, egli riesce ad introdurre l’uomo nell’esistenza nuova, quella escatologica, che è tutta accoglienza. Il mondo si oppone ad essa perché è frammentato ed incapace di essere accolto (cfr. I. Zizioulas, The Mystery of the Church in Orthodox Tradition, op. cit., 300).

[26] Zizioulas dice: „If Adam as a particular human being and not as human nature is the primary cause of human being, he must be in a constant relationship with all the rest of human beings, not via human nature […] but directly, i.e. as a particular being carrying in himself the totality of human nature, and not part of it. The Fathers noted that this cannot be the case of Adam, since death, owing to creaturehood, shows that the particular beings carry only part of human nature. Humanity, therefore, per se cannot be a candidate for personal ontology” (I. Zizoulas, On Being a Person..., op. cit., 40-41).

[27] Cfr. P. McPartlan, The Eucharist Makes the Church..., op. cit., 175.

[28] D. Knight, John Zizioulas on the Eschatology of the Person, in: D. Fergusson, M. Sarot (ed.), The Future as God’s Gift. Explorations in Christian Eschatology, Edinburgh 2000, 193.

[29] Cfr. Y. Spiteris, Ecclesiologia ortodossa. Temi a confronto tra Oriente e Occidente, Bologna 2003, 70.

[30] Tale idea zizioulana viene ripresa da P. McPartlan: „He it is who takes upon himself the sins of the «many» (Is 40-55) in such a way that he is fully identified with the «many» to the extent that several exegetes have even seen in this figure the «corporate personality» of the People of God” (P. McPartlan, The Eucharist Makes the Church..., op. cit., 182).

[31] Cfr. I. Zizioulas, Being as Communion..., op. cit., 146; Idem, L’essere ecclesiale, Magnano 2007, 155.

[32] Ad esempio, „nella più antica preghiera liturgica della Chiesa romana, che si trova nella Lettera ai Corinti di Clemente di Roma, incontriamo più volte l’idea del «Servo di Dio» in relazione all’eucaristia” (I. Zizioulas, L’essere ecclesiale, op. cit., 155).

[33] Zizioulas in: Y. Spiteris, Ecclesiologia ortodossa..., op. cit., 70. Il testo viene dalle non pubblicate lezioni di Zizioulas tenute all’Università di Tessalonica nell’anno 1990-1991. Esse sono state registrate dagli studenti di teologia e successivamente tradotte dal greco in italiano (cfr. ibid., 66).

[34] A. Porpora, L’ecclesiologia ecumenica di Ioannis Zizioulas, op. cit., 25.

[35] Cfr. I. Zizioulas, L’essere ecclesiale, op. cit., 156.

[36] Cfr. ibid., 156.

[37] Cfr. P. McPartlan, The Eucharist Makes the Church..., op. cit., 182.

[38] Cfr. A. Porpora, L’ecclesiologia ecumenica di Ioannis Zizioulas, op. cit., 25.

[39] Cfr. I. Zizioulas, Being as Communion..., op. cit., 147. In corsivo notiamo l’enfasi zizioulana riconoscibile nel suo richiamo al testo giovanneo.

[40] Cfr. ibid., 147.

[41] Cfr. P. McPartlan, The Eucharist Makes the Church..., op. cit., 183.

[42] A. Porpora, L’ecclesiologia ecumenica di Ioannis Zizioulas, op. cit., 46.

[43] Cfr. A. Miltos, Le Chiese locali e la Chiesa universale, „Il Regno. Documenti” 17 (2013), 573.

[44] Cfr. A. Porpora, Percorsi della teologia ortodossa contemporanea. L’ecclesiologia ecumenica di Ioannis Zizioulas, „Oriente Cristiano” 47 (2008), 76.

[45] N. Cabasilas, La vita in Cristo, Roma 1994, 222-223.