1. Concetto di icona e di simbolo nella teologia ortodossa

1.1 Concilio di Nicea II

Nella storia della Chiesa, il concetto di icona si è chiarificato fortemente intorno alla controversia iconoclasta, ufficialmente sconfitta al Concilio di Nicea II, nell’anno 787. Nonostante le discussioni conciliari si fossero soffermate prevalentemente sulla questione del senso dell’icona sacra bizantina, dunque, sull’immagine dipinta, e sulla personale presenza di Cristo[1], il fondo del dibattito rimase teologico. Di conseguenza, la successiva, breve, presentazione dell’argomento magisteriale, sarà per noi il modo più logico per affrontare l’introduzione al carattere iconico della Chiesa nell’Eucaristia, che rimane sempre il nostro tema principale. Prenderemo in considerazione soltanto due dati che, tuttavia, sembrano essere sufficienti per questo momento.

Oggetto del contendere fra iconoclasti e iconofili è stato la venerazione dell’icona sacra. Concretamente, i primi accusavano i secondi di pensare l’immagine come se fosse consustanziale al prototipo di cui era rappresentazione[2]. In tal modo, agli occhi degli iconoclasti, gli iconofili facevano idolatria, perché avevano scambiato il mezzo con lo scopo e attribuivano all’immagine la stessa gloria dovuta soltanto a Dio.

La risposta del Concilio si ebbe nella quarta sessione, durante la quale i padri conciliari precisarono la differenza fra proskynein e latreuein, cioè, fra venerazione ed adorazione[3]: „Nessuno si senta urtato dal termine proskynesis. Infatti noi veneriamo uomini e angeli santi, ma non li adoriamo. «Ti prostrerai davanti al Signore tu Dio» – dice infatti Mosè – «e a lui solo renderai culto» (cfr. Dt 6,13; Mt 4,10). Vedi come a «renderai culto» (latréyseis) sia stato aggiunto «solo»; nessuna aggiunta invece a «ti prostrerai» (proskynèseis), di modo che è lecito prostrarsi: la prostrazione infatti è dimostrazione di onore; in alcun modo invece è il rendere culto, quindi neanche il pregare”[4].

Per quanto riguarda l’accusa degli iconoclasti non meno importante era pure il richiamo della famosa frase di Basilio il Grande da parte del monaco Giovanni: „Il divino Basilio, infatti, come astro e maestro della Chiesa di Dio e iniziato dallo Spirito Santo alle realtà divine, ha detto che l’onore reso all’immagine rinvia al prototipo […]”[5]. L’immagine, dunque, non è statica e non è limitata allo spazio dipinto. Non è lo scopo in se stesso, bensì, è la mediazione. L’icona è relazionale e si estende all’altro, indicando in tal modo un mistero invisibile e la sua superiorità. Tutto questo mette in crisi le argomentazioni eretiche precedentemente menzionate.

Queste citazioni sono sufficienti anche per superare la seconda accusa degli iconoclasti. Questa volta, la loro calunnia consisteva nel sostenere che l’immagine ridurrebbe ciò che è trascendente a ciò che è materiale. Concretamente, si trattava della riduzione della natura divina di Cristo alla sola sua natura umana[6]. „Un tale individuo, infatti, ha fatto un’icona e l’ha chiamata «Cristo»; e il nome «Cristo» è Dio e uomo: dunque anche l’icona è icona di Dio e di uomo. Ed allora il pittore o ha circoscritto, secondo la sua vana opinione, l’incircoscrivibile carattere della divinità con il limite della carne creata o ha confuso quell’inconfusa unione, incorrendo nell’illegittimità della confusione delle nature, arrecando così due bestemmie alla divinità, attraverso il circoscrivere ed attraverso la confusione”[7].

Tuttavia, anche tale argomentazione è insensata, perché, come scrive M. Bettetini nel suo commento a Nicea II, „l’immagine non ha […] la pretesa di significare tutto il suo modello, ma semplicemente di rimandare ad esso […]. L’immagine è simile al suo modello non nella sostanza ma soltanto nel nome e nella disposizione delle membra che vengono dipinte”[8]. Dunque, l’icona non imprigiona l’invisibile nel visibile, l’eschaton nella storia, ecc. Essa invece diventa un ponte, anzi, un sacramento il quale fa sì che un mistero diventa una presenza reale.

Il problema è tuttavia ancora più profondo. Lo esprime in modo esplicito C. Schönborn, commentando nell’Icona di Cristo, il primo periodo della controversia iconoclasta: „Chi rifiuta le icone, rifiuta l’Incarnazione: questa è la persuasione di tutti i difensori delle immagini”[9]. Risulta che, per C. Schönborn, l’immagine è la manifestazione della carne di Cristo. L’icona fa sì che, a partire dal corpo, viene riprodotta tutta la persona. Tale è l’economia della salvezza, questa volta espressa nella quinta sessione conciliare: „Le immagini, che tu vedi, sono dipinte come memoriale della salvezza, segno dell’amore del nostro salvatore Gesù Cristo per gli uomini, e significano la sua persona che si è incarnata”[10]. In tal modo, tutto l’argomento iconofilo viene appoggiato sull’Incarnazione. A tal proposito, appare chiaro che la cristologia è incomprensibile senza l’antropologia.

Quest’osservazione ha conseguenze di vasta portata anche per quanto riguarda la riflessione di Ioannis Zizioulas[11] sul simbolo. Il nostro teologo non esita a dire che senza l’Incarnazione, vista appunto come opera libera e voluta da Cristo per riconciliarci col Padre (cfr. Col 1,20), il discorso simbolico non sarebbe affatto possibile[12]. Ne consegue che il concetto del simbolo deve necessariamente essere fondato sull’evento storico.

1.2.1 Simbolismo tipologico (τύπος)

Zizioulas sviluppa quest’idea (nella sua fase primaria) con l’aiuto della teologia simbolica di J. Daniélou, il quale fondandosi sulla testimonianza patristica, presenta il carattere tipologico della vita liturgica della Chiesa. Il teologo francese richiama le figure veterotestamentarie, persone ed eventi storici, e le mostra come sfondo per i riti sacramentali presenti nel seno della Chiesa. Riguardo al primo sacramento scrive: „Le figure del Vecchio Testamento non hanno, nel pensiero patristico, valore semplicemente «illustrativo», ma servono prima di tutto a giustificare e ad avvalorare il battesimo […]”[13]. Si tratta in particolare della „traversata del Mar Rosso”[14], la cui tipologia viene spiegata da Cirillo di Gerusalemme nella sua prima catechesi mistagogica: „Lì leggiamo di Mosè mandato da Dio in Egitto, qui del Cristo inviato dal Padre nel mondo; lì di Mosè che doveva liberare il suo popolo dall’oppressione d’Egitto, qui di Cristo che doveva liberare tutti gli uomini del mondo oppressi dal giogo del peccato”[15].

Di conseguenza, l’evento dell’esodo dall’Egitto diventa figura (τύπος) della morte e risurrezione di Cristo (ἀντίτυπος), cioè, della realtà che la Chiesa celebra nel sacramento del battesimo[16]: Evento al di là di ogni umana realtà e credibilità! In senso letterale, non siamo né veramente morti, né veramente sepolti, né veramente crocifissi; l’imitazione immaginifica di questi eventi esprime la vera realtà della nostra salvezza”[17].

Ne consegue che la vita sacramentale della Chiesa primitiva veniva illuminata dagli eventi storici (τύπος), nei quali Dio mostrando il suo dominio sul male, liberava l’uomo dal potere del nemico, prefigurando in tal modo, la vittoria del Cristo (ἀντίτυπος). Vi è una significativa differenza fra la visione cristiana e quella pagana. Mentre il simbolismo cristiano viene legato alle fonti bibliche, agli eventi nei quali Dio, agendo in favore dell’uomo, rivela il suo amore, la concezione pagana vuole „costruire un ponte” fra divino ed umano sulla base della natura e delle sue capacità (energie)[18].

Zizioulas rifiuta fermamente la logica pagana; però, anche la semplice impronta storica (τύπος) del simbolo non è per lui convincente e sembra essere parziale. Invece di dare voce al passato, il nostro teologo vuole concentrarsi direttamente sull’ἀντίτυπος, sulla realtà che viene espressa dal simbolo. Non è escluso che la posizione zizioulana venga condizionata da P. Tillich, il quale nella sua teologia simbolica indicava una notevole differenza fra segno e simbolo[19]. Il primo indica una certa realtà, ma non vi partecipa. È da notare che questo significato è vicino al concetto di τύπος. Per quanto riguarda il simbolo, invece, non soltanto simbolizza una verità, ma ne fa pure parte (ἀντίτυπος)[20].

Il problema ed allo stesso tempo la ricchezza del concetto di ἀντίτυπος consistono nella sua duplice realizzazione: storica ed escatologica. Dunque, abbiamo a che fare con un trittico teologico-biblico. Riguardo all’esempio del battesimo, vediamo che il diluvio o l’esodo dall’Egitto rappresentano il suo τύπος, mentre il rito battesimale è il primo grado della realizzazione dell’ἀντίτυπος e la vittoria finale di Cristo, quella escatologica è il suo compimento[21]. Ecco, dice Zizioulas, dov’è rinvenibile la verità del simbolo: non nella natura della materia che viene usata, non nel semplice riferimento agli eventi del passato, bensì nella partecipazione del simbolo alla realtà escatologica[22]. Il nostro compito sarà quello di dare ragione dell’affermazione zizioulana.

1.2.2 Simbolismo iconico (εἰκών)

Il nostro autore, sulla base della testimonianza patristica, denota un’evidente distinzione fra τύπος ed εἰκών. Come abbiamo visto sopra, nella maggior parte dei casi, il primo termine veniva riferito ad un evento veterotestamentario, invece quando i Padri usavano la parola εἰκών, la collegavano quasi sempre al Nuovo Testamento[23].

Ora, in maniera breve, riprendiamo il discorso di Massimo il Confessore: „Ombra [οκιά] infatti sono le cose dell’Antico e immagine [εἰκών] quelle del Nuovo Testamento. Verità è la condizione delle cose future”[24]. Le parole del Confessore non recano in sé qualche novità, bensì esprimono la stessa realtà della quale parlava l’autore della Lettera agli Ebrei (cfr. Eb 10,1). Giovanni Damasceno, riferendosi a questo brano scrive: „Ma La Legge non era neanche un’immagine, bensì immagine di un’immagine; così appunto dice il medesimo Apostolo: «La Legge, infatti, avendo soltanto un’ombra dei beni futuri, e non la realtà stessa delle cose»”[25]. La conclusione zizioulana non lascia alcun dubbio: tutto questo significa che il simbolismo tipologico ed il simbolismo iconico sono due cose diverse[26].

Da quanto precede risulta che εἰκών a differenza di τύπος, è radicata nella realtà del Nuovo Testamento che, come abbiamo spiegato sopra, è un primo grado della realizzazione dell’ἀντίτυπος. Logicamente, non si tratta più di una cristologia in attesa, bensì della sua attuazione concreta[27]. Tale spiegazione, però, non esaurisce il discorso sul simbolismo iconico di Zizioulas. La sua ricerca vuole mettere a fuoco altri interrogativi: qual è la relazione fra immagine del Nuovo Testamento e verità futura? É possibile parlare della verità iconica, come se essa fosse quella escatologica? In quale senso parliamo dell’autenticità del simbolismo iconico?

Gettano luce sul nostro discorso le parole di Teodoro lo Studita, a cui si riferisce Zizioulas: „Quando qualcuno è raffigurato, non è la natura, ma l’ipostasi ad essere raffigurata. Infatti, come si potrebbe rappresentare una natura se essa non fosse vista concretamente in una persona?”[28]. Ora, tale nozione (quello del concetto di persona come essere ontologicamente relazionale) diventa indispensabile per la nostra comprensione della relazione immagine-verità.

Seguendo la spiegazione zizioulana, l’unica differenza fra l’icona e la verità consiste nel fatto che la prima viene espressa con l’aiuto della natura soggetta alla corruttibilità, mentre la natura della verità è immutabile. Qual è la conseguenza di tale affermazione? Se lo scopo del simbolismo iconico non consiste, dunque, nel riflettere la natura dell’esistenza escatologica, dobbiamo cercare un altro punto d’appoggio. Lo troviamo nel già richiamato concetto di persona. Prosegue Zizioulas dicendo che se l’icona non è un’invenzione o una fantasia, ed allo stesso tempo non è la verità stessa, essa è spiegabile soltanto sulla base del fatto che la persona non dipende dalla natura; dunque, possiamo avere la presenza personale, senza avere quella della natura[29]. In relazione all’immagine dipinta, il succitato Studita afferma: „L’immagine di Cristo non è nient’altro che Cristo, a parte la differenza di essenza, come ho più volte dimostrato”[30]. E ancora in un altro luogo: „Tuttavia, [l’immagine] assomiglia al prototipo nel suo intero aspetto, ma non nella sua natura”[31].

Ne risulta che, con l’aiuto della materia corruttibile, il simbolo fa sì che la presenza personale si attualizzi effettivamente nella storia. Inoltre, nel simbolismo iconico la natura riveste soltanto un ruolo secondario e la sua presenza „nascosta” è possibile esclusivamente a causa del suo essere subordinata all’ipostasi. Zizioulas è conscio che la realizzazione storico-escatologica dell’ἀντίτυπος è accettabile soltanto in virtù dell’evento di Cristo, in cui l’eschaton e la storia si incrociano e quest’ultima riceve significato ontologico[32]. Infatti, Zizioulas dice: „Gewiss, ohne das, was geschehen ist oder was der historische Jesus gesagt hat, gäbe es keine Möglichkeit zu wissen, was noch geschehen wird[33].

 

2. L’Eucaristia come icona della verità

L’ontologia significa la verità. La storia diventa ontologica e vera, innanzitutto, perché possa svelare Cristo che è la verità relazionale per eccellenza. Secondo Zizioulas, tale svelamento trova la sua pienezza nell’Eucaristia, la quale è icona della verità, icona di Cristo. Di conseguenza, tenendo presente il concetto di simbolismo iconico, che abbiamo esaminato sopra, sempre con Zizioulas, possiamo parlare della verità escatologica che viene esclusivamente identificata con la comunità eucaristica. In tal modo, l’eschaton diventa verità incarnata[34].

La stessa idea è rinvenibile pure in J. P. Manoussakis, teologo contemporaneo ed esperto del pensiero ortodosso, per il quale la verità (l’eschaton) non significa altro che l’Incarnazione[35]. Notiamo che entrambi gli autori fondano il loro pensiero sull’evangelo di Giovanni. Zizioulas si riferisce al brano giovanneo: „E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità” (Gv 1,14)[36]; il teologo dichiara con forza che, nell’evento eucaristico, il λόγος, a differenza dell’Antico Testamento, fa realmente parte dell’esistenza ecclesiale. Per Zizioulas, il Logos non si manifesta né nell’esperienza mistica o psichica di un individuo, né in” una comunità, bensì svela la verità su se stesso come” comunità[37]. Ecco che arriviamo, ancora una volta, all’identificazione di λόγος e κοινωνία, che altro non sono che l’espressione della verità nella sintesi patristica greca.

Invece, il già menzionato Manoussakis, richiamando i testi giovannei – „Ora è il giudizio di questo mondo” (Gv 12,31a) e “In verità, in verità vi dico: è venuto il momento” (Gv 5,25a) – e con l’aiuto di J.-Y. Lacoste[38], afferma che nonostante non abbiamo a che fare nella storia con „l’eschaton presente”, quello che si manifesterà alla fine dei tempi, certamente abbiamo a che fare con la „presenza dell’eschaton” che accade storicamente ogni giorno[39]. Questo fa sì che la „presenza dell’eschaton” nella storia diventi un riflesso della pienezza della verità che è l’„eschaton presente”[40].

La distinzione fra l’„eschaton presente” e la „presenza dell’eschaton” è un altro modo di parlare della relazione εἰκών-ἀντίτυπος. Zizioulas, rimanendo sempre fedele a questo concetto, in cui la natura corruttibile di εἰκών viene distinta da quella incorruttibile dell’ἀντίτυπος escatologico, vuole mostrare la sempre attuale necessità di parlare della Chiesa in chiave eucaristica perché se manca questo legame, il carattere iconico della Chiesa storica, semplicemente sparisce, sia ontologicamente che visibilmente: „[…] la Chiesa storica si distingue dalla Chiesa escatologica, perché vivendo nello spazio e nel tempo è condizionata da essi a causa del peccato, della morte e dall’impossibilità di radunare «nello stesso luogo» tutti gli uomini che furono, che sono e che saranno”[41]. Risulta che il mistero del male, cioè, del peccato e della morte, è l’ostacolo principale che impedisce alla verità escatologica la sua rivelazione storica. Zizioulas lo spiega così: „[La Chiesa] ci offre la sua identità, la sua verità in una forma storica, in cui si nota la sua debolezza, le lotte con il male e con il peccato. Malgrado tutto, in questa forma storica si nasconde il tesoro della verità che è la vera identità della Chiesa”[42]. Notiamo che l’„essere ecclesiale”, cioè, il vivere da redenti, è già la „presenza dell’eschaton” nella storia, però, in determinate circostanze, la Chiesa non è percepibile come il riflesso dell’„eschaton presente”, in cui „non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno […]” (Ap 21,4). In altre parole, possiamo dire che Cristo, quale verità escatologica incarnata, ha assunto tutto l’umano e in tal modo ha riconciliato Dio col mondo (cfr. Col 1,20), però, questa comunione divino-umana non è ancora accolta pienamente dall’uomo e, per questo motivo, senza l’evento eucaristico, la Chiesa non riesce a riceverla e a manifestarla iconicamente.

Commentando questo „dramma” della Chiesa, che consiste nell’impossibilità di essere icona visibile dell’eschaton, R. D. Turner, alla luce della teologia zizioulana, afferma che il riconoscimento della verità escatologica nella Chiesa è per l’uomo di oggi una delle più grandi sfide[43]. L’esperienza umana della Chiesa non porta lo stesso uomo necessariamente a vedere il suo carattere iconico. Questa dicotomia esperienziale di non identificare la Chiesa con la verità, può essere superata, secondo Zizioulas, soltanto nell’Eucaristia, perché l’amore vicendevole dei cristiani è ontologicamente identico alla verità[44]. Anzi, è visibile e percepibile per i nostri sensi. Quest’idea vogliamo fondare ancora su un’altra citazione di Zizioulas: „[L’Eucaristia] ha la sua realtà, la sua verità nell’unione del creato con l’increato in un modo concreto, che è «l’unione in Cristo», «la ricapitolazione di tutte le cose in Cristo». Quando, dunque, in modo riassuntivo e iconico vengono rappresentate e ricapitolate tutte le cose «in Cristo», allora abbiamo il sacramento della Chiesa e insieme il sacramento dell’Eucaristia. Pertanto, l’Eucaristia è quel sacramento che realizza nel tempo l’identità della Chiesa, che è identità escatologica, e rende la verità della Chiesa realtà qui ed ora”[45].

Conformemente a quanto detto finora, Zizioulas richiama pure un certo fenomeno ecclesiale, e cioè le formulazioni conciliari dei primi secoli, che sono state, innanzitutto, affermazioni soteriologiche, il cui obiettivo principale consisteva nel proteggere l’„essere iconico” della comunità eucaristica dagli attacchi che a tale immagine provenivano dalle eresie e dagli scismi. I dogmi ed i simboli della fede non recavano in sé contenuti finalizzati alla riflessione teologica all’interno della Chiesa, bensì fondamentali luci per svelare e manifestare la verità escatologica nelle comunità eucaristiche[46].

Tale pensiero conciliare non avrebbe rinchiuso l’eschaton (verità) nel dogma, ma, al contrario, grazie all’identificazione della verità con la comunità, la prima ha ricevuto una sua viva ed efficace espressione nella storia, mentre la seconda ha potuto giorno per giorno rinnovarsi nella sua identità, quella escatologica, e viverla iconicamente. In breve, la verità è percepibile come λόγος incarnato soprattutto nella κοινωνία eucaristica e, anche più estesamente, in ogni cristiano che vive da cristiano, e non soltanto nell’elaborazione dogmatica della verità che, senza la vita, rimane soltanto mera speculazione, fumo che annebbia la vista. Per la sua manifestazione Dio non ha scelto qualche definizione conciliare, espressa con l’aiuto del linguaggio filosofico, bensì, l’uomo nella comunità che crede e prega.

 

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[1] Cfr. E. Fogliadini, Parola e immagine tra Oriente e Occidente, Bologna 2015, 36.

[2] Cfr. ibid., 39.

[3] Cfr. M. Bettetini, Contro le immagini. Le radici dell’iconoclastia, Bari 2006, 99.

[4] P. G. Di Domenico, C. Valenziano (ed.), Atti del Concilio Niceno secondo, ecumenico settimo, II, Città del Vaticano 2004, 188.

[5] Ibid., 198. La frase originale di Basilio la si può trovare in: Basilio di Cesarea, Lo Spirito Santo, Roma 1993 (Testi Patristici 106), XVIII,45.

[6] Cfr. M. Bettetini, Contro le immagini, op. cit., 100.

[7] L. Russo (ed.), Vedere l’invisibile. Nicea e lo statuto dell’immagine, Palermo 1999, 81.

[8] M. Bettetini, Contro le immagini, op. cit., 100-101.

[9] C. Schönborn, L’icona di Cristo. Fondamenti teologici, Cinisello Balsamo 2003, 160.

[10] P. G. Di Domenico, C. Valenziano (ed.), Atti del Concilio Niceno secondo..., op. cit., II, 254.

[11] Ioannis Zizioulas (ur. 1931) è un teologo greco, metropolita ortodosso di Pergamo ed impegnato nel dialogo cattolico-ortodosso. Ha contribuito efficacemente all’avvicinamento delle Chiese d’Occidente e d’Oriente.

[12] Cfr. I. Zizioulas, The One and the Many. Studies on God, Man, the Church and the World Today, Alhambra 2010, 104.

[13] J. Daniélou, Bibbia e liturgia. La teologia biblica dei sacramenti e delle feste secondo i Padri della Chiesa, Milano 1965, 93.

[14] Cfr. ibid., 114-130.

[15] Cirillo di Gerusalemme, Decimanona catechesi o prima catechesi mistagogica, 3, in: C. Riggi (ed.), Le catechesi, Roma 1993 (Testi Patristici 103), 437. Lo stesso vale per l’Eucaristia che viene prefigurata principalmente dai seguenti eventi: „il sacrificio di Melchisedec” (cfr. Gen 14,17-20), „il banchetto pasquale” (cfr. Es 12,5-11), „la manna dell’esodo” (cfr. Es 16,1-36; Num 11,1-9) ed „il banchetto dell’Alleanza” (cfr. Es 24,8-11). Cfr. J. Daniélou, Bibbia e liturgia, op. cit., 190.

[16] Cfr. J. Daniélou, Bibbia e liturgia, op. cit., 115.

[17] Cirillo di Gerusalemme, Ventesima catechesi o seconda catechesi mistagogica, 5, in: C. Riggi (ed.), Le catechesi, op. cit., 446.

[18] È opportuno ricordare che il paganesimo poneva le sue divinità all’interno della natura, con il risultato che d’ora in poi esse venivano evocate nel modo magico. Cfr. I. Zizioulas, The One and the Many, op. cit., 104.

[19] Zizioulas richiama lo studio di P. Tillich in: I. Zizioulas, The One and the Many, op. cit., 105.

[20] Cfr. H. D. McDonald, The Symbolic Theology of Paul Tillich, „Scottish Journal of Theology” 17 (1964), 421-422.

[21] Cfr. T. Jelonek, Teologia biblijna, Kraków 2011, 9. Come nota R. D. Turner, esperto della teologia zizioulana, il compimento escatologico dell’ἀντίτυπος non dev’essere considerato come un graduale sviluppo della verità; essa è sempre la stessa, sia nella storia che negli eschata, e l’unica differenza consiste nel piano della sua realizzazione. Cfr. R. D. Turner, Foundations for John Zizioulas’ Approach to Ecclesial Communion, „Ephemerides Theologicae Lovanienses” 78 (2002), 452).

[22] Cfr. I. Zizioulas, The One and the Many, op. cit., 105.

[23] Cfr. ibid., 107.

[24] I. Zizioulas, Eucaristia e regno di Dio, Magnano 1996, 19. Citiamo qui il testo di Massimo il Confessore così come lo presenta Zizioulas.

[25] Giovanni Damasceno, Difesa delle immagini sacre. Discorsi apologetici contro coloro che calunniano le sante immagini, Roma 1983 (Testi Patristici 36), 1,15.

[26] Cfr. I. Zizioulas, The One and the Many, op. cit., 108.

[27] Cfr. ibid., 108. Per mezzo del concetto di icona, Zizioulas mette in relazione l’evento storico di Gesù Cristo e la sua abitazione sacramentale nell’esistenza temporale della Chiesa. Cfr. R. D. Turner, Eschatology and Truth, in: D. Knight (ed.), The Theology of John Zizioulas. Personhood and the Church, Hampshire-Burlington 2007, 25.

[28] Teodoro lo Studita, Antirrheticus adversus iconomachos. Confutazioni contro gli avversari delle sante icone, Bari 2013, 3.A.34.

[29] Cfr. I. Zizioulas, The One and the Many, op. cit., 109.

[30] Teodoro lo Studita, Antirrheticus adversus iconomachos, op. cit.,  3.C.14.

[31] Ibid., 3.D.6.

[32] Cfr. R. D. Turner, Eschatology and Truth, op. cit., 24.

[33] I. Zizioulas, Eschatologie und Geschichte, „Ökumenische Rundschau” 35 (1986), 379.

[34] Cfr. I. Zizioulas, Wahrheit und Gemeinschaft in der Sicht der griechischen Kirchenväter, „Kerygma und Dogma” 26 (1980), 41.

[35] Cfr. J. P. Manoussakis, The Anarchic Principle of Christian Eschatology in the Eucharistic Tradition of the Eastern Church, „Harvard Theological Review” 100 (2007), 34-35.

[36] Cfr. I. Zizioulas, Wahrheit und Gemeinschaft, op. cit., 41.

[37] Cfr. ibid., 41-42. Le sottolineature sono di Zizioulas.

[38] Cfr. J.-Y. Lacoste, Esperienza e assoluto: sull’umanità dell’uomo, Assisi 2004, 138.

[39] Cfr. J. P. Manoussakis, The Anarchic Principle, op. cit., 34-35. Per Manoussakis l’eschaton non significa la fine della storia. Anzi, vediamo che quest’argomento viene da lui sviluppato nella chiave dell’economia della salvezza, cioè, dell’Incarnazione dell’eschaton nella storia attraverso la celebrazione dell’Eucaristia. Cfr. ibid., 33.

[40] Cfr. R. D. Turner, Eschatology and Truth, op. cit., 25.

[41] Y. Spiteris, Ecclesiologia ortodossa. Temi a confronto tra Oriente e Occidente, Bologna 2003, 81.

[42] Sono le parole di Zizioulas che si trovano sempre in: Ibid., 81.

[43] Cfr. R. D. Turner, Eschatology and Truth, op. cit., 29.

[44] Cfr. I. Zizioulas, Human Capacity and Human Incapacity. A Theological Exploration of Personhood, „Scottish Journal of Theology” 28 (1975), 426-427.

[45] Zizioulas in: Y. Spiteris, Ecclesiologia ortodossa, op. cit., 84.

[46] Cfr. I. Zizioulas, Wahrheit und Gemeinschaft, op. cit., 43-44.