Presentazione

Un tema così grande e ampio offre non poche possibilità: limitarci unicamente ad un approccio storico per collocare in un contesto discorsi ormai superati; fare un riassunto di cose già risapute; perderci nei meandri di tante sfumature del dibattito sociale, politico ed economico del momento; tentare di difendere l’attualità del pensiero dehoniano; oppure affrontare l’argomento dal punto di vista del carisma e della congregazione dehoniana. Qui viene proposto[1] un uso complessivo di tutte queste possibilità dopo aver letto molta produzione sul tema. L’intenzione è, soprattutto, di trovare sfide attuali dell’insegnamento di P. Dehon chi, per altro, non può prescindere da questi due argomenti centrali e inscindibili della sua vita: il Sacro Cuore di Gesù e la questione sociale.

Di P. Dehon, obiettivamente, ci rimangono soltanto i suoi discorsi (scritti) e la memoria e, addirittura, alcune delle sue azioni (inscritti). Ma, queste due obiettivazioni non ci trasmettono la sua persona, ma il suo progetto, cioè l’abbozzo dei suoi modi di “essere-cosciente”, le sue proiezione di un “mondo”, di una coscienza d’essere e di stare.

Anziché queste obiettivazioni, dal canto nostro, abbiamo ‘tempo’. Certamente il tempo è un fenomeno fisico, ma che noi siamo in grado di abitare, di modulare secondo un senso; è il supporto per esprimere i nostri modi di “essere-coscienti”[2]. Abbiamo bisogno di un concetto che ci serva per esprimere queste ‘coscienze’ di P. Dehon: sarà quello di figura. Cercando la praticità di questo nostro avvicinamento a P. Dehon, propongo di studiare i modi di ‘essere-cosciente’ nella realtà da lui vissuta. Perché? Perché questi ‘essere-cosciente’ racchiudono sia il suo impegno sociale che la sua vita interiore e religiosa incentrata sul Sacro Cuore di Gesù, ed esigono così una loro unità e coerenza. Ci aspettiamo di trovare qualche orientamento per vivere ed abitare evangelicamente e dehonianamente il nostro tempo.

 

1. La figura iniziale: il regno sociale del Cuore di Gesù

Al tempo di P. Dehon, culturalmente, si era persa la fede nella validità della comprensione del mondo, diventato vecchio senza che ci fosse un nuovo progetto. In questo contesto, dentro nel ricco mondo della devozione al Sacro Cuore, P. Dehon sviluppa una prima figura che chiameremo ‘regno sociale e nazionale del Cuore di Gesù’.

Attraverso questa figura, P. Dehon ci mostra come aveva in mente una politica che fosse religiosamente ispirata (incentrata sul Cuore di Gesù) nella quale fossero favorite le istituzioni che alimentano una reale uguaglianza sociale. Così, giustizia e carità potevano essere le forme di un rapporto interumano capace di costruire la pace sociale. Il ruolo della devozione al Sacro Cuore in questo Regno sociale era quello di essere strumento di riforma della Chiesa, ma attuata attraverso la vita dei credenti, perché:

  • sono loro che trasformano le abitudini della fede, grazie a un’esperienza dell’amore di Dio vissuta;
  • sono loro che assumono la riparazione di quello che perpetua la passione del Signore Verbo incarnato che soffre oggi nella persona del povero.

La caratteristica di ‘nazionalità’ è il secondo concetto che emerge dai discorsi di P. Dehon. C’è un’affermazione basilare: “la Francia è la figlia amata della Chiesa. Sì, grazie a questo titolo ha una missione speciale, una vocazione particolare, un’eminente dignità”. Cioè, accogliere il Sacro Cuore di Gesù. Per lui, la devozione al Sacro Cuore è concessa in primo luogo all’unica nazione in grado di rispondere, cioè la Francia. Ed è così che, partendo dalla sua patria, arriva alla Chiesa.

Ecco gli ingredienti. È chiaro che P. Dehon non è libero da un forte patriottismo nazionalista, determinante di questa sua figura iniziale, di questo suo modo di essere e stare nel (suo) mondo. I componenti li possiamo riassumere così:

  1. unione di patriottismo e sentimento religioso, essendo questa unione il principio strutturale che rimane e fornisce identità (qualunque sia la forma politica che la nazione prenda);
  2. la devozione al Sacro Cuore fornisce l’energia nascosta in grado di garantire ogni rinnovamento ecclesiale (a cominciare da quello della fede) e sociale (perché scuola di patriottismo)
  3. finalmente, è motore di espansione, di servizio, di missione al di là delle frontiere nazionali.

Ma questa prima figura mostrerà presto i suoi limiti, e provocherà in P. Dehon una trasformazione nel modo di esprimere il suo pensiero-sentire.

 

2. Una nuova coscienza: il popolo

Prima di arrivare a una nuova figura, emerge una nuova coscienza che rompe il precedente schema di comprensione. Come abbiamo detto, P. Dehon cerca una società strutturata cristianamente, con istituzioni e poteri pubblici che siano riferiti al cristianesimo. Ma, in quale regime politico è possibile attuare questo ‘regno sociale’? La prima risposta sarà: nella monarchia, che secondo lui, doveva ritornare in una Francia ormai repubblicana. P. Dehon era prigioniero di un’analisi che nel regime repubblicano vedeva soltanto il suo (certo) anticristianesimo, mentre nel regime monarchico vedeva soltanto il suo (presunto) cristianesimo.

Un’alternativa venuta d’oltreoceano capovolgerà e supererà questa visione: la repubblica dell’Equador. Questo regime repubblicano si era consacrato al Sacro Cuore di Gesù nel 1873 e, rinnovando la consacrazione nel 1883, gli aveva dedicato una basilica a Quito.

Questo esempio dimostrava che era possibile andare avanti abbandonando lo schema monarchico come unica scelta. E in questo superamento si rivela un’originalità determinante di P. Dehon: “regno sociale del Sacro Cuore” sarà un progetto non strettamente politico, ma, più ampiamente, sociale e teologico.

Lasciare da parte un necessario ritorno della monarchia per raggiungere il regno sociale di Gesù, permette di aprire uno spazio necessario per far emergere la nuova coscienza che determinerà la trasformazione in una nuova figura: il concetto di ‘popolo’.

‘Popolo’ significa in P. Dehon mettere al centro la popolazione senza privilegi o interessi specifici da difendere, né intellettuali, né economici, né politici. Ma significherà anche l’arrivo di una trasformazione politica senza precedenti: svincolata dalle tesi monarchiche sulla regalità sociale, la subordinazione agli orientamenti politici proposti dal Papa sarà l’elemento necessario per la ricostruzione della società, carente d’orizzonti, invecchiata, stanca, sfruttata.

L’irrilevanza degli ordinamenti politici ai fini della realizzazione del regno sociale, affermata da Papa Leone XIII, spingerà P. Dehon a inserirsi nel movimento democratico-cristiano. Questo gli permetterà di approfondire la prospettiva politica: l’instaurazione di un regime democratico diventava il canale di azione idoneo alla realizzazione del regno sociale del Sacro Cuore.

Qui troviamo elementi con qui costruire una nuova figura. Ma anche c’è una grande preoccupazione e dolore: la ovvia distanza tra Chiesa e popolo.

 

3. Una nuova figura: la democrazia cristiana

Un nuovo “essere-cosciente” emerge. La democrazia è vista da P. Dehon come la mediazione e la partecipazione politica di un popolo che prende in mano la sua sovranità, e cerca l’equità nei suoi rapporti sociali a tutti i livelli: economico-socio-politico, e anche religioso. P. Dehon dà un nome e descrive così la nuova figura:

“Democrazia Cristiana. - Si è molto discusso questa parola per un certo tempo, ma prende il sopravvento. E che altro significa, se non l'organizzazione cristiana del popolo, della nazione, il regno della giustizia e della carità per il bene di tutti, con una particolare attenzione per i lavoratori ed i poveri? La democrazia cristiana è il trionfo del Vangelo, è il regno del Sacro Cuore”[3].

Troviamo qui pensieri molto importanti per il fondatore:

  1. la centralità di Gesù Cristo in tutti gli ordini della realtà.
  2. la posizione del Sacro Cuore in funzione simbolica come segno della persona di Cristo e della salvezza che porta.
  3. l’importanza del concetto di “popolo”, che lo porta alla nuova figura della democrazia cristiana come strumento di organizzazione in base a due principi (giustizia e carità) la cui definizione si trova nel Cuore di Gesù (cioè nel Vangelo di Cristo approfondito dal magistero della Chiesa).

Certamente, il concetto ‘democrazia’ non è esattamente quello dei giorni nostri. Per capirlo, bisogna fare riferimento alla precedente figura del regno sociale del Sacro Cuore di Gesù. Ma è l’elemento che aiuterà la Chiesa a riformulare la sua azione.

Lui lo realizzerà attraverso impegni concreti nella questione sociale (intesa come “miseria materiale e morale delle masse in una società industrializzata e senza fede”[4]), ma anche attraverso i suoi scritti sociali dove appare questa nuova coscienza (politico-teologica) come lotta tra falsità e verità, e come difesa (quasi giudiziaria) dell’indifeso. Applica un modo proprio di analisi della realtà che lo mette in grado di individuare quelle che, per lui, sono:

  • le cause del malessere sociale (come per esempio: il capitalismo, il liberalismo, l’usura, ecc.),
  • gli agenti che provocano questo malessere sociale (la franc-massoneria o gli ebrei[5]),
  • per evidenziare, anzi denunciare/combattere, i falsi rimedi (il socialismo e l’anarchia),
  • e promuovere sempre i veri rimedi, che si trovano nel magistero sociale della Chiesa (che viene difeso dal protestantesimo, dagli ateismi, dai gallicanesimi, ecc.).

Perché costruire una nuova figura in base alla democrazia cristiana? Perché essa porta le classi più svantaggiate della società a partecipare e regolare con equità la vita sociale. Lui è convinto che l’unione tra il ‘regno di Cristo’ e il ‘popolo’ sia la strada: “Il futuro della democrazia è certo. Il suo regno verrà con noi o contro di noi. Quindi, se vogliamo che Cristo regni, non deve essere nessuno davanti a noi nell’amore del popolo”[6].

La centralità di Gesù Cristo in tutti gli ordini della realtà rimarrà nell’evoluzione di P. Dehon e, così, “il riferimento al S. Cuore, che rappresentava il simbolo della carità di Cristo per gli uomini, permetteva una piena adesione a nuove istituzioni che comportavano una maggiore giustizia nei rapporti collettivi. In tal modo, si realizzava una reinterpretazione assai significativa del tema della regalità sociale: senza mettere in discussione la direzione ecclesiastica sul consorzio umano, i cattolici potevano inserirsi in una prospettiva di cambiamento politico e sociale a favore dei ceti popolari”[7].

Pertanto, in modo sintetico, possiamo dire che Padre Dehon cerca di esprimere la visione di una realtà cristiforme per il bene di tutti, cioè di uno “spazio di vita” che si apre come dono gratuito. P. Dehon si lascia toccare, interrogare, istruire dal prossimo (“gli operari e i poveri” compresi), come individuo, collettività, struttura, fino al punto d’impegnarsi in posizioni socio-politiche. Senza dimenticare mai che quello che dinamizza e spinge l’evoluzione non è altra cosa che la distanza esistente tra popolo e Chiesa, che da alleati naturali sono di fatto alieni, lontani l’una dall’altro. Più che (solo) un sistema teologico o sociologico, politico o ecclesiale, P. Dehon propone una figura che vuole diventare stile fecondo e pertinente per i singoli e per le società.

 

4. La congregazione SCJ: un’istituzione per trasformare e segnare il tempo?

P. Dehon, con le sue figure, non cerca mai di rimanere soltanto al livello della semplice proposta. Anzi, lui, soprattutto avvia progetto dopo progetto a Saint-Quentin. Solo più avanti incomincia a scrivere le sue analisi e ad azzardarsi nel campo politico. Internamente e profondamente mosso da una spiritualità d’incarnazione (di amore incarnato, tangibile), cerca di generare realtà concrete che dimostrino la pertinenza delle sue idee ed analisi, che inseriscono il sociale nello spirituale, e viceversa.

Un’istituzione che sarebbe stata in grado di farlo passare dall’idea alla realtà concreta è stato l’Istituto SCJ. Vediamo due elementi biografici di P. Dehon fondatore. Tentiamo, per primo, far luce sull’ambito delle idee. P. Dehon, molto attratto dall’esperienza del Equador, si metterà in contatto con il P. José Julio María Matovelle Maldonado, fondatore degli Oblati del divino Amore, nelle cui costituzioni si specificava la volontà di contribuire allo alla realizzazione del regno sociale di Gesù attraverso l’offerta al Sacro Cuore di “anime che s’immolassero e si sacrificassero, come sue vittime, per ottenere l’instaurazione del regno sociale di Cristo in Ecuador e, sul suo esempio, in tutto il mondo”[8]. Così, entrambi cercheranno di unificare i loro Istituti religiosi. Vediamo qui che la idea di P. Dehon è unire la spiritualità oblativa, che egli vedeva come nota essenziale della sua congregazione, con all’impegno alla riedificazione di un ordine sociale cristiano cui voleva indirizzare i suoi membri[9]. A livello di concretizzazione, un secondo dato, che conferma i suoi orientamenti, è la lettera del 20 novembre 1892 dove scrive riguardo alla fondazione di una sua casa religiosa a Roma: “a pour but la formation de prêtres dévoués aux œuvres sociales”[10].

Cosa significa tutto questo? È lo storico Menozzi chi risponde: “La propagazione dell’idea del regno sociale del s. Cuore entrava negli scopi fondamentali degli aderenti al suo [di Dehon] sodalizio: essi si sarebbero consacrati al s. Cuore allo scopo di conseguire questo obiettivo”[11]. Un modo di sanare la ferita, di accorciare le distanze tra popolo e Chiesa, uno strumento per offrire e favorire la concretizzazione della figura, dell’essere-cosciente’, della democrazia cristiana sarà la Congregazione dei Sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù.

Però, lo sappiamo, non è stato così. Da quello che conosciamo, P. Dehon non fa riferimento a questa figura nelle prime Costituzioni. Anzi, non la incluse mai nella sua visione della spiritualità della Congregazione, lasciandosi trasportare dal lato “contemplativo”, e piuttosto refrattario nei confronti dei compagni della prima ora (a loro volta provenienti da altre esperienze ecclesiali e carismatiche). Di fatto, P. Dehon diminuirà molto fortemente il suo impegno effettivo nel sociale tra 1903 e 1908.

Comunque, dobbiamo subito aggiungere che almeno tentò di attuare questa unione di interessi nel suo Istituto, ma “lui non aveva previsto che il suo coinvolgimento nelle questioni sociali potesse portare a una crisi nella congregazione riguardo al suo carisma, crisi che si manifestò apertamente durante i Capitoli Generali del 1893 e del 1896”[12].

 

5. Suggerimenti per una figura oggi: una comprensione profondamente affettiva

Le figure che P. Dehon ha elaborato hanno sempre un fondamento evangelico, che posiamo chiamare Vangelo del Sacro Cuore[13], ai cui contenuti concorrono l’amore di Dio, l’amore incarnato di Dio, l’amore crocifisso, l’amore riparatore, l’amore trafitto alla sorgente e l’amore sacramentale dell’eucaristia come liturgia della croce e della risurrezione. Di conseguenza, anche il carisma dehoniano declina questo nucleo secondo l’esperienza contemplata in Gesù (esperienza umana e divina) del dono di se stesso per amore al Padre e agli uomini. Il “Vangelo del Sacro Cuore” ricongiunge dono (antropologia) e oblazione (teologia). La relazione con il divino, dunque, passa attraverso una tangibilità: la socialità umana.

Ecco il campo di azione religioso-sociale del carisma dehoniano. Ecco dove P. Dehon avrebbe costruito la sua congregazione: sul punto di incontro tra il dono (che come scelta esige un investimento personale forte) e una edificazione dell’umano vivere-insieme (che poggia sull’affetto). La congregazione diventa luogo di oblazione (ecce venio) perché nel custodire e approfondire i rapporti di unione tra l’uomo e Dio permette il passaggio del dono (evangelizzato) fra persone divenute comunità (sint unum), la quale è indirizzata alla missione dell’annunzio (adveniat Regnum tuum) di questa possibilità (riparatrice) di essere uomo ed essere società.

L’affettività, il dono, l’agape, la sociabilità si sono fatti tangibile nella persona di Gesù, uomo mosso da un amore di pienezza (liberante, salvatrice), figlio di Dio che si fa carne, comunicabilità, sociabilità, l’essere amore di Dio, aperto in reciprocità. P. Dehon ha pensato la relazione teologale alla luce dell’ordine umano degli affetti, da un lato, e dell’investimento divino di agape, dall’altro. L’unione di queste due realtà offre l’opportunità di far circolare gli affetti personali (evangelizzati) all’interno dello spazio comune della vita sociale (trasformandoli). La trasformazione suppone la creazione di strutture sociali che rispecchino questa scelta. Così, una solidarietà effettiva con le persone qualifica la sequela dehoniana di Cristo, in uno stile proprio di abitare e trasformare questo mondo. Questo, a mio avviso, potrebbe essere un insegnamento cordiale e sociale di P. Dehon.

 

6. Conclusione

Il già Superiore generale, oggi Vescovo Bresanelli, scrisse questa bella espressione: “l’obiettivo dell’impegno sociale è la comunione”. È questo un elemento che articola tutti i servizi assistenziali del Istituto SCJ richiesti dalle diverse emergenze, tutti gli interventi educativi e promozionali che fanno cultura, e anche lo sviluppo di una “carità politica” che, nascendo dalla vita spirituale e dalla conseguente riflessione intellettuale, modifica le emarginanti “strutture di peccato”.

In P. Dehon, come in tanti altri, e anche in noi, la devozione al Sacro Cuore rappresenta un limite per un confronto critico e duro con lo spirito del tempo in cui si vive. La devozione cerca nel proprio tempo, in una modalità di reazione appassionata, quello che logora i fondamenti della dignità umana. Oggi la devozione al Sacro Cuore emerge per confrontare un “neoliberalismo deregolato che abbandona il destino degli uomini all’insaziabile voracità della finanza disancorata dall’economia reale e all’ingiunzione categorica del mercato di un godimento illimitato”[14] con la creazione di spazi secondo lo stile di una figura di comunione, di sint unum. È tempo di rivedere il nostro concetto, organizzazione e vivenza della congregazione a questa luce?

Coscienti che rimaniamo alle soglie della sua eredità di pensiero sociale, crediamo che, a partire della contemplazione del Cuore trafitto di Cristo e con l’unione intima al Cuore di Cristo, P. Dehon offre nel suo insegnamento una proposta nuova per capire e vivere in questo mondo secondo uno stile unitario e coerente, di comunione e sociale, tra ragione e fede, in grado di segnare e trasformare la storia.

Sia l’ambito in cui P. Dehon portò avanti il suo apostolato sociale, sia quello nostro attuale, ci portano a trasformare l’esteriorità della realtà sociale. P. Dehon ci insegna a scoprire (affettivamente ed effettivamente) la mancanza di senso di un mondo cronologico, vuoto, insignificante, capitalista… nel quale una maggioranza di persone viene esclusa e sfruttata. P. Dehon, nel carisma del suo Istituto, rende inscindibile l’impegno sociale dalla spiritualità. Né uno spiritualismo disincarnato (che non si traduce in una politica coerente di scelte sociali di amore e riparazione), né un lavoro sociale senza anima teologale (che non evangelizza) possono scalfire il fascino che P. Dehon esercita, la cui attualità risiede nell’unità spaziale ed efficace di vita tra mistica e

 

[1] Questi contenuti sono sviluppati più ampiamente nel nostro lavoro “Questione sociale e culto del Sacro Cuore nell’insegnamento di p. Leone Dehon” preparato per questa occasione.

[2] Un testo con citazione di P. Dehon di p. Gelardi applica il concetto di figura che proponiamo: “Solo chi discerne può superare le strette della stupidità […] e non conformarsi a questo mondo, rinnovando il proprio modo di pensare […]. Preziosa la sottolineatura di P. Dehon: ‘L’homme est un être raisonnable et responsable, qui doit consulter habituellement sa conscience et en suivre les préceptes. La lumière de la raison éclaire notre âme avant la lumière de la foi’ (VPR: OSP 5, 237)”, A. Gelardi, “Della coscienza e della pastorale sociale. Divagazioni”, Dehoniana (2012), s. 35-61.

[3] CHR 8031898/56.

[4] A. Arrighini, Le dimensione ‘sociale’ e ‘intellettuali’ dell’Apostolato del Padre Dehon”, Dehoniana (1977), s. 17.

[5] Come risaputo, siamo davanti a un elemento trasversale del pensiero di P. Dehon, molto problematico e che necessita ancora di uno studio accurato.

[6] RSO 2/86.

[7] D. Menozzi, Sacro Cuore: un culto tra devozione interiore e restaurazione cristiana della società, Roma 2001, s. 196.

[8] D. Menozzi, Sacro Cuore..., op. cit., s. 191.

[9] D. Menozzi, Sacro Cuore..., op. cit., s. 192.

[10] AD B 20/1 (inv. 289. 00).

[11] D. Menozzi, Sacro Cuore..., op. cit., s. 192.

[12] J. van den Hengel, “Il carisma di P. Dehon nella Chiesa” in: Incontro dei Vescovi dehoniani, Roma 2013, s. 102.

[13] F. Duci, “L’Evangelo del Cuore di Cristo: spiritualità scj ed evangelizzazione”, Dehoniana 1983, 197-208. Senza voler entrare in nessun tipo di polemica sterile, semplicemente intendiamo cercare un ‘proprium’ della teologia-spiritualità-devozione dehoniana anche rispetto a sviluppi devozionali simili, ma in fondo diversi, come è il caso della devozione alla divina misericordia. Mentre questa devozione trova il suo corpo biblico intorno nella parabola del Figliol prodigo e sottolinea una delle molte potenze dell’amore di Dio (la misericordia che prevale sul peccato e sull’infedeltà), la devozione al Sacro Cuore sottolinea la iniziativa gratuita e totale di Dio realizzata nel momento della effusione di tutto il suo amore (non di una delle sue potenze) su tutta l’umanità, tramite lo squarcio del costato del Figlio di Dio sulla croce (centro dei riferimenti biblici a sostegno di questa devozione e spiritualità).

[14] M. Neri, “A qualcuno piace devoto”, Il foglio quotidiano 84 (9 aprile 2014), III.