Ideologia uniwersalistyczna: podporządkowanie Kościoła lokalnego Kościołowi powszechnemu?

The universalist ideology: the submission of the local Church to the universal Church?

https://doi.org/10.4467/25443283SYM.20.021.12952

 

Abstrakt

Chociaż od uchwalenia na II Soborze Watykańskim konstytucji dogmatycznej o Kościele minęło już ponad pół wieku, w łonie Kościoła katolickiego oraz w dyskusjach ekumenicznych trwa nadal dyskusja na temat właściwej interpretacji soborowego wyrażenia „Ecclesia in et ex Ecclesiis”. Przedmiotem niniejszego artykułu jest zatem analiza soborowego i posoborowego nauczania Kościoła katolickiego oraz toczącej się dyskusji teologicznej na temat wzajemnej relacji Kościoła powszechnego i Kościoła lokalnego.

Słowa kluczowe: eklezjologia II Soboru Watykańskiego, communio, Kościół powszechny, Kościół lokalny

 

Abstract

Although more than half a century has passed since the adoption of the dogmatic constitution on the Church at the Second Vatican Council, a discussion continues in the Catholic Church and in ecumenical discussions about the correct interpretation of the conciliar expression „Ecclesia in et ex Ecclesiis”. The subject of this article, therefore, is an analysis of the conciliar and post-conciliar teaching of the Catholic Church and the ongoing theological discussion on the mutual relationship of the universal Church and the local Church.

Keywords: ecclesiology of the Second Vatican Council, communio, universal Church, local Church


Introduzione

Su Lumen gentium numero 23 – il testo fondamentale di questo discorso – negli anni postconciliari discutevano sia i teologi cattolici quanto quelli ortodossi[1]. Tutta l’attenzione è stata richiamata su una migliore comprensione dell’idea dei padri conciliari per quanto riguarda la relazione reciproca fra la Chiesa universale e la Chiesa particolare. Oggi, dopo più di cinquanta anni dalla data della deliberazione del testo, si può domandare: lo scopo è stato raggiunto? Oppure apparivano problemi interpretativi ancora più grandi?

Questo percorso contiene alcuni passaggi interrogativi che ci permettono di notare che ogni discussione teolgico-ecumenica è una grande sfida e una intensa fatica. Le differenze comparirono non soltanto nella disputa intraconfessionale, ma anche nel seno della Chiesa cattolica. Ogni argomentazione teologica qui presentata è motivata attraverso un riferimento o alla Scrittura o ai Padri, perciò non è facile unanimemente decidere chi ha ragione. D’altra parte, in nessun caso si tratta o della vittoria di qualcuno o del mantenimento dell’insegnamento del Concilio Vaticano II, ma piuttosto della verità che corre insieme con l’uomo nella sua storia.

 

Ecclesia in et ex Ecclesiis

Nel numero 23 di Lumen gentium si trova il più importante testo per quanto riguarda la relazione fra la Chiesa locale e quella universale: „Episcopi autem singuli visibile principium et fundamentum sunt unitatis in suis Ecclesiis particularibus, ad imaginem Ecclesiae universalis formatis, in quibus et ex quibus una et unica Ecclesia catholica exsistit” („I singoli vescovi, invece, sono il visibile principio e fondamento di unità nelle loro Chiese particolari, queste sono formate ad immagine della Chiesa universale, ed è in esse e a partire da esse che esiste la Chiesa cattolica una e unica”). La fantastica espressione „in quibus et ex quibus” vuole dire che ognuna delle Chiese particolari è la Chiesa universale e ognuna possiede tutti gli elementi necessari della salvezza. Lo stesso contenuto lo sottolinea il decreto Christus Dominus nel numero 11 dicendo che „diocesis est populi Dei portio”[2]. Tali estrinsecazioni segnalano un cambio radicale nella comprensione della Chiesa locale. Essa non è più una parte della Chiesa universale come voleva il primo schema del Christus Dominus („diocesis est part quaedam Dominici gregis”) ma significa che la Chiesa universale è radicata nelle Chiese particolari le quali allo stesso tempo sono le vere Chiese. La chiesa universale non esiste come un’astrazione oppure come una realtà autonoma e indipendente, ma si realizza nel modo storico e concreto tramite le Chiese particolari. In questo senso si parla della Chiesa universale non come „una federazione delle Chiese particolari”, come la voleva vedere l’ultramontanismo cattolico del XIX secolo, ma come il „communio Ecclesiarum”[3].

Esso, come dice il cardinale Joseph Ratzinger (1927-), non è né un’unione fra le comunità autosufficienti ed autonome, né un sistema precedente suddiviso in più piccole parti. Tanto la realtà della Chiesa universale quanto quella particolare, non possono essere ridotte una all’altra e una dall’altra non possono derivare. La Chiesa è costituita come una, unica Chiesa e come pluralità delle diverse Chiese. Si tratta della relazione reciproca fra di loro la quale indica la specificità del modello dell’ecclesiologia cattolica della comunione di oggi[4].

Tuttavia, volendo essere preciso, nel numero 23 di Lumen gentium, delle Chiese particolari è stato scritto che esse non sono le Chiese universali ma che si sono formate „ad immagine di essa” („ad imaginem Ecclesiae universalis formatis”). Come spiegare questa tensione? Essa – chiede Marcello Semeraro (1947-) – indirettamente suggerisce che ogni Chiesa particolare si trovi „nel cammino” affinché ella si adatti al suo ideale che è la Chiesa universale?[5].

Il Numero 23 di Lumen gentium parla della relazione fra le Chiese particolari e quella universale a livello storico, oppure tocca anche la realtà del mistero della Chiesa universale come Chiesa di Cristo? Se fosse così, è chiaro, che nessuna realtà storica non esaurisce la ricchezza della Chiesa universale considerata soprattutto come quella escatologica. In quel caso si può soltanto far presente la famosa frase di LG 8 nella quale è stato sottolineato che la Chiesa di Cristo non è la Chiesa cattolica ma essa „subsistit in Ecclesia catholica”. Conseguentemente si può dire anche lo stesso della Chiesa universale, senza sottodivisioni nel livello storico ed escatologico, ma considerandola come una, santa, cattolica ed apostolica, che essa soltanto „subsistit in” Chiesa particolare e che quest’ultima nonostante sia la vera Chiesa, non esaurisce la ricchezza universale? L’ultima domanda è: se addirittura si confermasse che ontologicamente la Chiesa universale preceda quella particolare, si può fare la stessa affermazione anche a livello storico e concreto? Queste domande rimangono aperte soprattutto perché il Concilio Vaticano II non ha dedicato abbastanza spazio alla questione dell’anteriorità della Chiesa universale oppure particolare.

 

Ecclesiae in et ex Ecclesia”

Nell’anno 1992 la Congregazione per la Dottrina della Fede nella Lettera su alcuni aspetti della Chiesa intesa come comunione – Communionis notio, introduceva un’altra famosa frase per quanto riguarda le relazioni fra la Chiesa universale e quella particolare, cioè: „Ecclesiae in et ex Ecclesia”[6]. Essa è stata inserita nell’ecclesiologia odierna come una risposta agli errori nell’interpretazione della formula „Ecclesia in et ex Ecclesiae”, inscritta in LG 23 come „in quibus et ex quibus”: „A volte, però, l’idea di «comunione di Chiese particolari», è presentata in modo da indebolire, sul piano visibile ed istituzionale, la concezione dell’unità della Chiesa. Si giunge così ad affermare che ogni Chiesa particolare è un soggetto in se stesso completo e che la Chiesa universale risulta dal riconoscimento reciproco delle Chiese particolari”[7].

Il secondo capitolo di Communionis notio afferma che la riduzione della Chiesa universale diminuisce anche la Chiesa particolare e indica la insufficiente comprensione del „communio Ecclesiarum”. Come è stato ribadito da Paolo VI già nell’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, la storia insegna, che molto spesso quando qualche Chiesa particolare si era tagliata fuori dalla Chiesa universale correva due rischi. Da una parte: il pericolo del disgregamento interno di Chiesa particolare le cui cellule cominciavano a separarsi da essa, „com’essa s’era separata dal nucleo centrale”; dall’altra per quanto riguarda le diverse ideologie e i sistemi totalitari, perché la Chiesa particolare era da sola, separata dalle altre Chiese che l’avrebbero potuta rafforzare. Essa si trovava nel rischio di perdere la propria libertà[8].

Tuttavia, queste situazioni difficili nella vita della Chiesa particolare sono gli elementi storici che non possono avere un valore decisivo nel riferimento all’affermazione dell’anteriorità della Chiesa universale rispetto a quella particolare. Dunque quali sono i veri motivi per i quali la Congregazione per la Dottrina della Fede ha deciso a „contrappostarsi” alla frase conciliare „Ecclesia in et ex Ecclesiis” tramite „Ecclesiae in et ex Ecclesia”, come è stato compiuto nel numero 9 di Communionis notio: „Essa (la Chiesa universale) (…), nel suo essenziale mistero, è una realtà ontologicamente e temporalmente previa ad ogni singola Chiesa particolare”.

Già in Communionis notio Joseph Ratzinger rifiuta un’accusa del tradimento del Concilio Vaticano II e spiega che la frase „Ecclesiae in et ex Ecclesia” non sta nell’opposizione dell’insegnamento conciliare, bensì essa è inseparabilmente connessa con esso. Secondo il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede la frase citata non è nessuna novità teologale perché essa si trovava già implicitamente in „Ecclesia in et ex Ecclesiis”[9].

Per autenticare tale modo di pensiero, sono state riprese le testimonianze dei Padri le quali confermano che la Chiesa come il mistero, cioè, la Chiesa una ed unica, nel modo ontologico sta prima di tutta la creazione „e partorisce le Chiese particolari come figlie, si esprime in esse, è madre e non prodotto delle Chiese particolari”[10].

La stessa cosa è stata ripetuta per quanto riguarda l’anteriorità temporale della Chiesa universale da quella particolare. La Congregazione sottolineava che la comunità dei discepoli che erano riuniti intorno a Maria e ai Dodici, la quale si rese nota in modo chiaro nel giorno di Pentecoste, rappresentava l’unica Chiesa e nello stesso momento era la fondatrice delle Chiese locali. Esse „nascendo nella e dalla Chiesa universale, in essa e da essa hanno la loro ecclesialità”[11].

Queste coraggiose formulazioni si incontravano con la resistenza di alcuni teologi, tanto cattolici quanto ortodossi. Al primo gruppo apparteneva per esempio Bruno Forte (1949-) e al secondo, tra gli altri Ioannis Zizioulas (1931-), attualmente il titolare metropolita ortodosso di Pergamo. Tuttavia, la più forte polemica ebbe luogo tramite le contrapposizioni che venivano da parte di Walter Kasper (1933-) il quale manteneva che tanto la Chiesa universale quanto le Chiese particolari sono avvenute simultaneamente perché la relazione fra di loro non può essere dedotta nel modo astratto. Kasper accusava Ratzinger di ritornare all’idea della centralizzazione romana e del tradimento dell’ecclesiologia del Concilio. Le sue ragioni le illustrava tramite tre esempi: 1) l’opposizione di Giovanni Paulo II al riconoscimento delle Conferenze dei vescovi come la competente manifestazione della collegialità; 2) il modo di nominare dei vescovi dove la partecipazione delle Chiese locali è tuttora tropo poca e 3) alcuni interventi della Curia Romana per quanto riguarda le questioni delle diocesi[12]

A quest’accusa Ratzinger ha risposto tramite l’intervento sull’ecclesiologia della costituzione Lumen gentium al Convegno internazionale sull’attuazione del Concilio Vaticano II nell’occasione del grande Giubileo dell’anno 2000: „Non si rende del tutto esattamente il senso del testo della Congregazione per la Dottrina della Fede, quando al riguardo Walter Kasper dice che la comunità originaria di Gerusalemme sarebbe stata di fatto Chiesa universale e Chiesa locale allo stesso tempo e poi continua: «Certamente questo rappresenta un’elaborazione lucana; infatti dal punto di vista storico esistevano presumibilmente sin dall’inizio più comunità, accanto alla comunità di Gerusalemme anche comunità in Galilea». Qui non si tratta della questione per noi ultimamente insolubile, quando esattamente e dove per la prima volta sono sorte delle comunità cristiane, ma dell’inizio interiore della Chiesa nel tempo, che Luca vuol descrivere e che egli al di là di ogni rilevamento empirico riconduce alla forza dello Spirito Santo. Soprattutto però non si rende giustizia al racconto lucano, se si dice che la «comunità originaria di Gerusalemme» sarebbe stata allo stesso tempo Chiesa universale e Chiesa locale. La realtà prima nel racconto di san Luca non è una comunità originaria gerosolimitana, ma la realtà prima è che nei dodici l’antico Israele, che è unico, diviene quello nuovo e che ora questo unico Israele di Dio per mezzo del miracolo delle lingue, ancora prima di divenire la rappresentazione di una Chiesa locale gerosolimitana, si mostra come una unità che abbraccia tutti i tempi e tutti i luoghi”[13].

Ancora nello stesso anno Kasper ha risposto a Ratzinger nella lettera Das Verhältnis von Universalkirche und Ortskirche. Freundschaftliche Auseinandersetzung mit der Kritik von Joseph Kardinal Ratzinger. In essa ritornava alle questioni pastorali le quali sono legate alla relazione fra la Chiesa universale e quella particolare. Sosteneva che le norme universali spesso generano, nelle Chiese locali, problemi pratici perché la relazione fra universale e particolare non è equilibrata. La fonte di questi problemi vede nel lento ma sistematico ritorno delle tendenze centralistiche nella Chiesa cattolica. A partire da questo punto, Kasper considera che il problema della relazione fra la Chiesa universale e particolare riguarda le dimensioni ecumeniche e non quelle teoretiche, presentate da Ratzinger[14].

Nonostante questo Kasper afferma alcune formulazioni incluse nella Lettera Communionis notio della Congregazione per la Dottrina della Fede come per esempio „la pericoresi” reciproca delle Chiese. Osa dire addirittura che questa reciprocità può essere espressa attraverso le due ben conosciute frasi: „Ecclesia in et ex Ecclesiis” ed „Ecclesiae in et ex Ecclesia”. Tuttavia, non lo fa da acritico. Secondo lui, a causa di queste locuzioni non è possibile comprendere l’anteriorità ontologica e temporale della Chiesa universale da quella particolare. Per valorizzarlo richiama l’autorità di Henri de Lubac (1896-1991) il quale dichiara che l’esistenza della Chiesa fuori dalle Chiese locali sia l’astrazione[15].

Come comprendere questa discussione? Essa riguarda soltanto le differenze filosofiche delle diverse visioni della Chiesa: platonica (Ratzinger) e aristotelica (Kasper)? Oppure mostra veramente il discutibile problema ecumenico?

 

„Visibile principium et fundamentum”

In questo momento vale la pena riprendere ancora una volta tutta la frase del numero 23 di Lumen gentium motivo centrale della nostra discussione. Eccola: „Episcopi autem singuli visibile principium et fundamentum sunt unitatis in suis Ecclesiis particularibus, ad imaginem Ecclesiae universalis formatis, in quibus et ex quibus una et unica Ecclesia catholica exsistit”.

Non è difficile notare che l’espressione contiene tre elementi principali dei quali finora ne sono stati presentati soltanto due. Manca ancora un riferimento al ruolo del vescovo nella costruzione della Chiesa il quale, secondo la frase citata, è „(...) il visibile principio e fondamento di unità nelle loro Chiese particolari (...)”. Questo commento sarà compiuto attraverso un riferimento alla teologia ortodossa moderna, soprattutto ai testi di Ioannis Zizioulas nei quali l’ecclesiologia si trova agli antipodi rispetto a quella che è stata presentata da Joseph Ratzinger in Communionis notio. L’argomentazione ratzingeriana, tipicamente protologica e platonica (universalia ante res), viene superata dall’ecclesiologia escatologica che ritrova la sua originalità e profondità nella tradizione dei Padri greci e che fa un riferimento al passato – all’attesa giudaica della venuta del Messia[16].

Queste speranze messianiche si concentravano nell’ultimo giorno della storia quando il „Servo del Signore” avrebbe chiamato il popolo disperso in un luogo. Il Nuovo Testamento riprende questo discorso soprattutto nel vangelo di Giovanni e nelle lettere paoline (cfr. Gv 6,27.51.53.56; 1 Cor 11,24; 2 Cor 11,2; Gal 3,28; Ef 2,15). Al centro si trova un’immagine escatologica del Figlio dell’uomo (preso da Daniele) che dando la sua carne per nutrire il popolo, assume i molti in sé. Su questa base, dopo la risurrezione e la Pentecoste, si è sviluppata la convinzione che attraverso il battesimo e l’eucaristia i credenti costituiscono il vero popolo di Dio riunito intorno alla persona del Messia. In altri termini, credevano che gli ultimi tempi erano già presenti nei singoli luoghi dove si celebrava l’eucaristia. In questo senso la Chiesa locale è stata intesa come l’assemblea dei credenti nella quale si realizza la comunità escatologica[17].

Secondo Zizioulas, il quale richiama la Lettera ai Corinti di Clemente di Roma, il legame fra l’eucaristia e la figura del „Servo del Signore”, il quale in se stesso rappresenta i molti, è stata presente nella vita liturgica della Chiesa sin dalla sua origine[18]. Se fosse stato così, intorno a chi era radunata quest’assemblea? A chi si può fare un riferimento per quanto riguarda l’immagine del „Servo del Signore”? Le domande sono ragionevoli perché né nel vangelo di Giovanni né nelle lettere paoline, la struttura liturgica della comunità viene descritta se non in modo molto generale.

A causa di questa mancanza nei testi biblici, Zizioulas fa ricordare Ignazio d’Antiochia che presenta il raduno escatologico riunito intorno al soggetto, chiamandolo il vescovo. Là si trova anche il collegio dei presbiteri – immagine di quello degli apostoli, che lo circonda, e i diaconi che fanno da ponte tra il clero e il popolo. In questo modo si può vedere un’assemblea celeste riunita intorno alla persona di Cristo che è ormai rispecchiata nei ministeri della Chiesa. I presbiteri rappresentano gli apostoli e il vescovo, essendo l’immagine di Dio, è il „tipo di Dio”. Così si presenta un’ecclesiologia tipologica, un’ecclesiologia della rappresentazione escatologica. Lessere ecclesiale non è dunque né una realtà preesistente, né un semplice fatto storico, ma piuttosto una realtà futura nella quale nel modo profetico si realizza che in ogni luogo, sotto la presidenza del vescovo, è celebrata la liturgia eucaristica[19]. Essa è assolutamente necessaria perché „(...) se si prescinde dalla parola eucaristica: «Questo è il mio corpo», (...) è l’impossibilità di comprendere sia l’identificazione della chiesa con il corpo di Cristo sia l’unità finale dei «molti» nell’«Uno»”[20].

 

Conclusione

Nell’introduzione è stato sottolineato che questo discorso non vuole trovare una soluzione miracolosa oppure identificare un vincitore sulle polemiche per quanto riguarda la relazione reciproca fra la Chiesa universale e quella particolare ma piuttosto cercare la verità.

L’importanza di questo tema non consiste nel fatto dell’anteriorità dell’una Chiesa rispetto all’altra ma nelle conseguenze che risultano da esso. Si tratta sopratutto della comprensione del modello della Chiesa come il „communio Ecclesiarum” la cui ricezione è stata affermata dopo il Concilio Vaticano II. La battaglia dell’anteriorità ecclesiale è dunque importante dal punto di vista pratico e non teoretico.

D’altra parte si nota che il modello „communio” correrà sempre il pericolo di chiudersi soltanto in una struttura bimembre: vescovi locali – papa. C’è bisogno di strutture mediate, cioè regionali, grazie alle quali la Chiesa universale non domini le Chiese locali ed esse non diventino le autocefalie – indipendenti ma deboli, senza la prospettiva dell’unità.

 

Bibliografia

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Zizioulas I., Lessere ecclesiale, Magnano 2007.

 

[1] Cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, Roma 1964 (=LG).

[2] Cfr. Paulo VI, Christus Dominus, Roma 1965.

[3] Cfr. J. Bujak, Pierwszeństwo Kościoła powszechnego wobec Kościołów lokalnych, „Collectanea Theologica” 1(76) (2006), 47.

[4] Cfr. ibid., 48-49.

[5] Cfr. M. Semeraro, Le Chiese particolari formate a immagine della Chiesa universale. Analisi e interpretazione di una formula (LG 23), in: N. Ciola (red.), Servire Ecclesiae. Miscellanea in onore di mons. Pino Scabini, Bologna 1998, 303-348.

[6] Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera su alcuni aspetti della Chiesa intesa come comunione – Communionis notio,  Roma 1992 (=CN), 9.

[7] CN 8.

[8] Cfr. Paulo VI, Evangelii nuntiandi, Roma 1975, 64.

[9] Cfr. CN 9.

[10] CN 9.

[11] CN 9.

[12] Cfr. P. Walter, Lumen gentium. Retrospettiva e prospettive, „Il Regno – Attualità”  18(47) (2002), 639-645.

[13] J. Ratzinger, Intervento sullecclesiologia della costituzione Lumen Gentium” al Convegno internazionale sull'attuazione del Concilio Ecumenico Vaticano II promosso dal comitato del grande Giubileo dellanno 2000, Roma 2000, https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_20000227_ratzinger-lumen-gentium_it.html (28.09.2020).

[14] Cfr. W. Kasper, Das Verhältnis von Universalkirche und Ortskirche. Freundschaftliche Auseinandersetzung mit der Kritik von Joseph Kardinal Ratzinger, „Stimmen der Zeit” 12 (2000), 796-797.

[15] Cfr. ibid., 800.

[16] Cfr. Y. Spiteris, Ecclesiologia ortodossa. Temi a confronto tra Oriente e occidente, Bologna 2003, 65.

[17] Cfr. ibid., 71.

[18] Cfr. I. Zizioulas, Lessere ecclesiale, Magnano 2007, 155.

[19] Cfr. Y. Spiteris, Ecclesiologia ortodossa..., op. cit., 72.

[20] I. Zizioulas, Lessere ecclesiale, op. cit., 157.